"...nell'Arzana de' Viniziani bolle l'inverno la tenace pece a rimpalmar li legni lor non sani,
ché navigar non ponno, e in quella vece chi fa suo legno nuovo, e chi ristoppa le coste a quel che più viaggi fece,
chi ribatte da proda e chi da poppa altri fa remi, ed altri volge sarte chi terzeruolo ed artimon rintoppa..."
Anche se per qualche attimo soltanto, ho vissuto Venezia come raramente mi era capitato. Di notte, innanzitutto. Camminando la sera, attraverso passaggi che lentamente diventavano quasi familiari, passando da un punto all'altro, quasi nell'illusione di vagare liberamente, lasciando da parte ogni meta. Mi sono tornate alla mente notti lontane di carnevali passati, ricordi che leggermente sbiadiscono come quelle amicizie e quegli affetti che li accompagnano. E poi, ripercorrendo senza ragione, le strade del vecchio ghetto, o quelle dietro San Marco verso l'Accademia, o ancora verso l'Arsenale. Ho riguardato di sfuggita questi angoli sempre nuovi e sempre in qualche modo sempre familiari, seppure in realtà sconosciuti, quasi volessi inspirarli, e rileggere ogni volta pagine scritte, accennate, o ancora bianche. Oppure scendendo (o salendo) nelle segrete e nei segreti di un palazzo misterioso che, come in realtà molti luoghi qui, non avevo mai visitato, per osservare le acque del Canale brillanti di riflessi dalle finestre di una sala enorme o da uno spiraglio sospeso come un ponte in un sospiro. Ed alla fine mi sono ritrovato quasi per caso di nuovo a San Marco, illuminata da una luna piena che portava l'acqua a salire, inesorabile e silenziosa, nelle tenebre della sera, fino a riflettere tratti di cielo e di architetture quasi fluttuanti, magari anche il profilo di qualche ombra che tra fretta e poesia attraversa la piazza, un abbraccio o uno sguardo, si ferma ad ascoltare una melodia che proviene da uno dei caffé storici, o forse semplicemente, a sbirciare un attimo questo mondo sottosopra.
Sembra incredibile che i soli ricordi di questo luogo siano quelli di un bambino. Eppure, non sono l'unico, come mi racconta una veneziana che dalla "terraferma" oggi lavora qui. E come lei, ho negli occhi il vetro rovente che si trasforma in cavallino e quell'alone di magia che ormai sembra perdersi in una fermata di pochi secondi, due parole e via, a far scorrere una nuova ondata di turisti. Come mi racconta la Veneziana "di campagna" quella poesia sembra essersi persa, venduta a logiche nuove e commerciali, e ad un modo di fare a volte brusco e sbrigativo che un po' ovunque ho sperimentato in questi giorni. Ciò che non ricordavo erano i colori, così lucidi e vivi, il calore del sole che si insinuava di luce tra i canali, ed una sensazione di pace e silenzio. Un'isola quasi nascosta, attraversata da acque verdi come smeraldo e riflessi di vetro. Sembra incredibile che pure il vaporetto sia un ricordo lontano, seppure più vicino, ad una mattina fredda di capodanno ed una scritta in penna rossa a lato di un biglietto. Lentamente lascio abbandonato il profilo di un faro perso nella Laguna e da isola ad isola, mi ritrovo tra colori ancora più intensi e splendenti, come una tela ancora fresca, cercando un angolo che fugga dal flusso di gente, dove il silenzio si fonda con l'oro della luce e un'onda di vento che sollevi i tendaggi di una casa, o magari il profilo di un bambino che gioca sulla porta. E per un attimo é tutto un po' più lontano, tutto un po' più dolce.
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