Sembra costruita sui riflessi. Specie la sera, quando le case, i ponti, i balconi sospesi sull'acqua, si specchiano di luce propria sull'acqua immobile dei canali. Tutto di pietra, per una città che allora sfoggiava tutta la propria ricchezza con la pietra, lusso sfarzoso per una città che sorge sul fondo sabbioso del delta di un fiume. Sono così simili, questi riflessi, a quelli che vidi la prima volta, anni fa, in una sera gelida di fine dicembre. Quanto tempo sembra passato... e quanto rimane invece così com'è, come era nei secoli d'oro, quelli delle Fiandre, della lana e dei colori pregiati. Risorta su questo suo stesso passato, Brugge.
O Bruges, come preferisco chiamarla, perchè nel nome mantenga quell'incredibile atmosfera romantica che si annida tra le vie strette, i mattoni e le fronde di un salice piangente. Chiudi gli occhi un istante... In uno spazio buio un uomo pizzica corde d'arpa classica e d'arpa celtica. Alternate. Le note salgono e scendono, voli pindarici della leggerezza inconsistente del pensiero. Per quanto possa essere pesante, a volte, immaginare una città come Bruges. Riflessi. Anche colori che si perdono nel tempo, rimangono in bianco e nero, come una via acciottolata qualsiasi ed un rumore silenzioso sul lastricato. Impressioni. Di una città colma di turisti, un fine settimana di mezza estate, eppure silenziosamente calma. Anche in una piazza brulicante di luci ed ombre in movimento. O quando gli zoccoli dei cavalli battono il pietrisco, sempre più vicini. Ci sarà sempre un angolo segreto, a Bruges, dove un uomo suona la sua arpa per la madre, dove quegli zoccoli si perdano dietro arcate in sequenza, dove le vie diventano così strette attorno agli edifici prima di sbucare in un cortile che alla luce del tramonto rivive nei colori quell'oro dei secoli passati.
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