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L'orecchio di Dioniso


 

"...Vicino a questi luoghi, Plutone rapì Proserpina alla madre; in questo bosco che abbiamo appena attraversato, Cerere sospese la sua rapida corsa e, stanca delle sue vane ricerche, si sedette su una roccia e, benché dea, pianse, dicono i Greci, perché era madre. Apollo ha custodito le mandrie in queste valli; questi boschetti che si estendono fin sulla riva del mare hanno risuonato del flauto di Pan; le ninfe si sono smarrite sotto le loro ombre e hanno respirato il loro profumo. Qui Galatea fuggiva Polifemo, e Akis, sul punto di soccombere sotto i colpi del suo rivale, incantava ancora queste rive e vi lasciava il suo nome… In lontananza si scorge il lago d’Ercole e le rocce dei Ciclopi. Terra degli déi e degli eroi!"

(Alexis de Tocqueville)



Il sussurro sale fino all'orecchio del dio con una punta di salsedine. Travalica il tempo, gli uomini, e le distanze di un mare che esiste in lontananza. Una spaccatura nella pietra che fende la roccia. La luce scompare, netta, dopo pochi passi, mentre quell'alito ancestrale arriva e come un'onda perfetta scivola lungo le pareti umide e lisce. Il dio ascolta. Il dio sussurra.



Me lo immagino come un immenso teatro, lungo i gradoni che scendono la collina, sorvola la nuova Siracusa, come non esistesse, per arrivare al mare, come fosse lì, davvero oltre il palcoscenico, uno scenario naturale. E mi immagino questi uomini, seduti sui gradoni. Una straordinaria città del mondo antico, racchiusa in quel semicerchio perfetto, tra le colline arse dal sole ed il mare azzurro a lambirne i confini, forse un'imbarcazione ormeggiata al largo, direzione una madre patria ormai lontana, pronta ad un viaggio per una sconosciuta.



In successione, attraverso luoghi nuovi ed altri conosciuti. Seguo il paesaggio che si evolve, nella sua sopravvivenza al fuoco estivo, puntini a zigzag su una mappa stropicciata che punta verso sud, prima di ripiegare verso l'alto, cercando di prendere confidenza con la strada, ed accompagno i nomi dei cartelli stradali a qualche ricordo, ad uno svincolo magari preso allora ed oggi superato. Le spiagge selvagge di Vendicari scivolano via come le immagini a cui avevo legato la mia memoria. Abbandonata Siracusa, ho attraversato Noto, dove alla luce calda e dorata del pomeriggio ho cercato di arrampicarmi sui tetti per osservare la città barocca da una prospettiva nuova che dominasse la vallata sottostante.

E, tradito dal tempo e dalle mie aspettative, forse il luogo che più rimpiangerò é quella punta più in basso, al vertice meridionale del triangolo che contiene l'isola, un luogo dell'anima mancato, là dove due mari si scontrano in una fusione continua, le onde sollevano nubi di salsedine e si ripiegano su se stesse ruggendo una sull'altra nella vana disperata ricerca di una vittoria che non arriverà mai.






E' incuneata in una gola, come la strada che scende verso il centro. E se la sera, perduto tra vicoletti in saliscendi alla ricerca della "Taverna dei Sognatori", Modica appare come un crogiuolo di luci e di vita, é la mattina seguente che la città si presenta in tutto il suo fascino. Profumo di cioccolato e, ancora una volta luce dalle tonalità calde: si insinua nella valle, da una parete all'altra, dove gli agglomerati di case premono uno sull'altro fino quasi a fondersi, senza soluzione di continuità, senza una via d'uscita. Due quadri labirintici, uno di fronte all'altro, Il sole di Sicilia, gioca di riflessi abbaglianti tra nuvole cupe, squarciandole, nascondendosi, ed ancora attraversando l'aria immobile ed afosa.






Occhi diretti al castello, un dedalo di stradine si arrampica sul fianco della gola. Alle pareti restano incisi nomi di scrittori, grandi personalità e santi religiosi. Seguo l'istinto, in questa salita alla cieca, dove ogni svolta termina in un nuovo vicolo, una salita ancora più ripida. Marmi, asfalto e calcinacci e, ancora, il profumo intenso del cioccolato. In qualche modo, riesco ad arrivare in cima, votare lo sguardo, in una veduta a 360 gradi. Proprio adesso che il sole crea ombre nette sulle case a strapiombo. Vertigine. Ed una cima non cima. Perché lo sguardo sale ancora, verso una cupola dorata ed un luogo sacro. La città sembra non terminare mai, né gli occhi, né i passi riusciranno a trovarne un confine fisico e ben definito. Cercherò di imprimere la bellezza del momento su questa amarezza profonda ed inconciliabile che ha sorpreso questi giorni. E nel frattempo, arrampicarmi, ancora, risolvendo con l'istinto ed un qualche senso di orientamento questo labirinto di incroci ed angoli nascosti fino all'ultimo.



Dove Modica é aggrappata ai lati di una gola, Ragusa, a pochi minuti, é la sua complementare, perfettamente adagiata su una cupola del terreno che si erge nel paesaggio. La stessa luce suggestiva di un cielo che promette tempesta, le stesse pietre calde che in silenzio si dipanano in una maglia irregolare di strade strette e cieche, ancora sapori intensi questa volta nella variazione di gelato. Ed anche qui trovo un luogo da cui vorrei non staccarmi tanto velocemente, rallentare fino a fermare il tempo, me stesso, chissà che altro, nell'illusione che questo possa bastare.



Piccole strisce di storia si sovrappongono, gradino dopo gradino. Fumetti di un'altro tempo, forse, impossibile leggerli tutti. Allora sali, ad ogni passo, questa particolarità tutta siciliana, di scalinate infinite, ceramiche sgargianti, e vedute vertiginose che si dipanano alle tue spalle. Mi piace leggere queste immagini come frammenti di storia, squarci di vita contadina, eventi narrati in successione, cavalieri all'assalto uno contro l'altro, grandi parate e carovane di oggetti ed animali esotici. Un libro dalle pagine senza numero, dalle combinazioni infinite. E come leggendo un libro, quasi, un'avventura da immaginare, una storia da attraversare.



Ecco, dunque, il mare. Al termine di un lungo itinerario a zigzag, questo doveva essere il tramonto più bello. Osservo le linee delle onde, deboli, che lambiscono le pietra calcarea e lasciano dietro di sé tremolanti pozzanghere che paiono oro colato. Osservo oltre, dove il sole tramonta, ed il costone candidoe liscio si tinge del blu violaceo dell'ombra in controsole. Questo é un termine, imprevisto. Ed allora, si può sempre essere soli in mezzo agli uomini, anche e soprattutto nella luce del tramonto. Nella luce dei riflessi, nelle eco che giungono dalla spiaggia alle mie spalle, nel tramonto che si spegne, rimango ad osservare questa scogliera bianca che lentamente scompare, rimango in ascolto del rumore dolce dell'acqua, del silenzio che mi sprofonda lentamente. Dove non puoi amare, non soffermarti.



"Di te amore m’attrista

mia terra, se oscuri profumi

perde la sera d’aranci

o d’oleandri, sereno

cammina con rose il torrente

che quasi ne tocca la foce."

(Salvatore Quasimodo)



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