Sentiero di guerra, tracciato nel ghiaccio. Si inerpica, lentamente, costeggiando trincee ormai sepolte per arrivare ad una fortezza che era fuori dal tempo già quando fu costruita. L'arrivo é una cima minore, spianata, che si affaccia sulla valle che come una frattura segue una linea verso nord. O verso sud, dipende da chi, di volta in volta, si trovasse ad occupare questa postazione ed in quale direzione decidesse di puntare il proprio sguardo. I passi attutiti dalla neve ed il silenzio dell'inverno rendono forse con maggiore efficacia la solitudine del luogo e di questa reliquia del passato, una tra la miriade di cui sono disseminate le nostre montagne. Un passato che pare tanto lontano da sembrare anacronistico. Eppure, lungo queste linee di freddo e di gelo, gente viveva in una quotidianità ostile ed impratica, combatteva e moriva in condizioni estreme. Ed é per questo che il silenzio intrinseco della montagna mi appare ancora più profondo, quasi sacro nella sua eco di epica e sofferenza.
Mezza coperta dalla neve, la scritta dell'anno di costruzione sotto il tetto della baita rimanda indietro di un secolo. Tende di pizzo alle finestre scure suggeriscono che forse, almeno di tanto in tanto, ci sia ancora vita tra quelle mura. Adesso sembra soltanto un monumento immobile di un paesaggio perduto in una valle di silenzio, scenograficamente al centro di una vallata coperta di neve, i passi ora incerti sul ghiaccio, ora affondati dove si fa più spessa, accanto ad un crocefisso di legno consunto. Ora che il sentiero abbandona la valle e nel silenzio si aggrappa ad un lato, nascondendosi nel bosco, iniziando a salire. Come un canto corale disperso sospeso nell'aria intrisa di ghiaccio, si tratti di voci di soldati o del canto di un pastore, per insinuarsi tra i costoni, lungo la valle, un sentiero, in ogni caso senza destinazione apparente che non sia la direzione dell'eco o la luce riflessa del sole che trova una via tra i profili delle montagne.
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