Col bus arrivato quasi un'ora d'anticipo, mi trovo fuori dalla stazione che é ancora buio. Le raffiche di vento preannunciano la nuova tempesta in arrivo che a quanto pare lambirà anche l'Ile de France. Ho camminato nei dintorni per riscaldarmi un po', osservando quest'angolo di città deserta e cercando disperatamente un café che stesse aprendo. Le insegne rosse e le prime luci dietro le vetrine é tutto ciò che traspare. Ho guardato questo angolo un po' trascurato come accade spesso nei dintorni di una stazione, senza fermarmi di rimanere ammaliato dal flusso di viaggiatori e dal crogiuolo di divesità che li contraddistingueva e che ruotavano attorno a questo luogo in una fredda mattina di domenica. Mi sono sentito meno solo e nuovamente carico per un giorno che era già inoltrato ad un'ora alla quale normalemnte per me deve ancora iniziare. Poi mi sono messo in cammino per davvero. Per ammazzare il tempo, per non cedere al freddo ed alla stanchezza, per reggiungere una destinazione. E nel frattempo, mi sono messo ad osservare questa domenica mattina che iniziava prendere vita: dai primi negozi del pane aperti ai cafe parigini che servono la colazione fino ai preparativi di un mercato regionale ai lati di un boulevard, con i mercanti i cui volti esprimevano un'origine lontana dalla città, i loro occhi mi guardavano curiosi e ricambiavano il saluto.
Sono stato il primo ad entrare: dal cortile, su ogni lato, il castello deserto era tutto per me, e soltanto l'eco di una musica rinascimentale registrata in un angolo della sala principale, si sovrapponeva al rumore sordo dei passi sul pavimento gelido. Questo luogo, alle porte di Parigi é una delle fortezze medievali più grandi e meglio conservate in Europa. Da qui, in quanto sede regale, é passata la storia di Francia, e valcare il complicato sistema di ingresso equivale in qualche modo a penetrare questo mondo passato e lontano. Ed é sorprendente leggere sui muri tutti questi anni di storia, laddove questi sono stati camere reali, uffici, prigioni. Strato dopo strato, ognuno inciso, fisicamente, su questa pietra, da uomini nel pieno del loro potere ed altri poveri disperati, viaggiatori all'alba della modernità, infine, tutto soggetto a quei cambiamenti continui del destino di queste mura e di chi si é trovato ad attraversarle.
Così, ho rivisto la cattedrale per la prima volta. Attraversato il ponte, il piazzale antistante non é più accessibile, e la facciata, con le due torri e la corona di pietra e di vetro alle spalle della Vergine erano ormai un profilo da scorgere da lontano, o di profilo, tra i rami spogli degli alberi, incamminandosi sulla strada di lato. E' ciò che c'e dietro quello che cercavo. O forse, sarebbe meglio dire, ciò che non c'é più. Perché se la facciata rimane integra, ciò che si intravede oltre, sopra il corpo principale, é un vuoto sventrato ed un intrico di ferro arrugginito, ai lati qualche statua coperta di reti e gli archi rampanti rinforzati da strutture di legno. Eppure da fuori, immagino sia soltanto un'impressione del danno reale. Ho pensato che questa fosse una rappresentazione reale di guerre, distruzioni, incendi più o meno voluti di quanto accaduto in passato. Assistervi, invece che leggervi poche righe su una pagina da libro di storia, é un'altra cosa, perché colleghiamo in maniera diversa ciò che ci giunge ereditato dal passato ancora integro rispetto a ciò che già non esiste più e non abbiamo mai visto realmente. Io che avevo salito la torre, cercato i riflessi tra i rosoni, pranzato nel giardino dietro l'abside. Ho avuto la fortuna di visitare, vedere, vivere questo luogo. Ho amato la piazza antistante, il piccolo ponte che collega l'isola con la Riva Gauche, dove la sera si trovava sempre un saltimbanco o un mangiafuoco e dove mi fermavo spesso a gettare uno sguardo prima di partire. Ora é tutto sbarrato. Ma immagino che difficilmente rivedrò la cattedrale così com'era.
Mi sono incamminato lungo la Senna, una volta passata la tempesta. Per raggiungere un luogo che é presente nella mia mente, prima ancora che fisicamente. Ho attraversato i porticati del Louvre, tendendo l'orecchio ad ascoltare passi sui ciottoli bagnati e note solitarie di suonatori di strada sotto le arcate scure della sera. E mi sono ritrovato davanti alle piramidi. Come una notte, ormai tanti anni fa. Anche allora, aveva piovuto, ed i riflessi di strutture moderne ed aniche, fontane e luci dorate riempivano il cortile del museo in tutta la loro avvenenza, ché laddove di giorno era una folla interminabile nella sera si trasformava in un silenzioso deserto ed un'atmosfera quasi intima. Qualcuno usciva dalla grande piramide al termine della mostra. Io ho continuato a girarvi intorno, da una piramide all'altra, lasciandomi inghiottire nel buio della sera, nei passi sul selciato bagnato, nelle eco di melodie di strada ontane e nel silenzio del luogo. Così, mi sono ritrovato in quell'immagine, quando Parigi la visitavo in un certo senso per la prima volta, in compagnia di mamma e sorella, e questo luogo maestoso come abbandonato ed illuminato, idealmente, dell'oro dell'arte, diventava un po' uno di quei luoghi dell'anima, al termine di una lunga giornata ed una pioggia improvvisa. E' un luogo a cui torno ogni volta che passo di qui, perché in qualche modo é un ricordo speciale che mi fa tornare indietro, prima di tante altre cose, a quella sera e a quei giorni, come fosse il calore di un abbraccio.
Questo é un luogo che non avevo mai visitato. Una mattina di freddo sole invernale. Oltrepassando il cancello si accede ad un altro mondo. Letteralmente. Sui fianchi di una collina, ormai al centro della città, sorge un cimitero storico di Parigi. Un labirinto di storia e di nomi. Sulle lapidi di questa città silenziosa si trovano anche nomi immortali. Cercarli e trovarli é una pena ed un intrico silenzioso. L'aspetto storico non può certo oltrepassare la funzione di questo luogo ed il senso profondo di tristezza e miseria che rappresenta. Tra letterati, pittori e musicisti di oggi e di ieri, il primo nome che ho cercato é stato quello di un uomo il cui cuore é tornato, nascosto e custodito in patria. Ho continuato, perdendomi in un labirinto senza fine. La storia di Parigi, ed un po' anche di alcune corde delo nostro sentire passano di qua. Anche se, cruda verità, queste sono soltanto pietre. Fino a scendere indietro nei secoli, ad una storia d'amore che, nella pietra, ha ritrovato il suo essere.
"...Io, che dovrei piangere su quello che ho fatto, sospiro invece per ciò che ho perduto, e non solo quello che abbiamo fatto insieme, ma i luoghi, i momenti in cui l’abbiamo fatto sono talmente impressi nel mio cuore che li rivedo con te in tutti i particolari e non me ne libero nemmeno durante il sonno..."
Ho lasciato questo pomeriggio per tornare a Montmartre. Semplicemente, avevo voglia di camminare senza meta e senza fretta, magari cercare qualche disegno da portarmi a casa, e girare a perditempo. C'é un luogo, tra le strade di questo quartiere che scendono dalla collina, dove ogni volta mi sembra di ricordare di essermi fermato una sera a mangiare. Non saprei trovarlo, se volessi, ma ogni volta ho la sensazione di passare di qui. E allora la verità é che un po' Parigi, che per anni non sono riuscito a tornare a visitare, costodisca i ricordi di una storia in tutte le sue sfaccettature, ricordi che in qualche modo fanno male come ferite appena riaperte. Questo ristorante, che forse non é nemmeno quello che credo, ma all'angolo del quale senza volerlo mi capita ogn volta di passare, mi ricorda qualcosa, un senso di disprezzo e delle frasi dolorose. Così, malgrado tutto, non riesco a non pensarci, almeno per un attimo, a questi groppi che risalgono e tornano a galla, nel mio silenzio, nel mio camminare, nella mia solitudine, e penso che forse devo averla infastidita, allora, quando nonostante tutto, nonostante quel senso di disprezzo che mi feriva ogni volta, io cercavo di ricucire ed andare oltre. Questo pensiero, ora, proprio qui, continua a farmi male.
Comments