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Riflessi rinascimentali


 



Ha piovuto. Sulla strada rimangono quelle pozzangere sparse qua e là. Forse qualcuna é ampia abbastanza, più di un'intercapedine tra lastre di pietra. Forse pioverà ancora. Un poco. Ma intanto, é su quel che rimane per terra, che si riflette ogni raggio di luce ed ogni colore. Anche quelli di un marmo raffinato che esalta linee ed architetture, così come il profilo di un volto pensoso. Mi sporgo, allora, su questo mondo nascosto, che si rivela un istante, quando si butta l'occhio e camminando non si da peso, prima che svanisca di nuovo. Come un sogno. Forse. Quello che potrebbe essere, trovarsi in una città così, così bella, così colma di storia e di arte. Invece di camminare, come uno dei tanti turisti che la invadono nei giorni di Pasqua. Quanto basta, per respirare un'aria diversa, magari bagnata di pioggia, ma raggiante, sulle colline circostanti o sul parapetto di un ponte che é vecchio in ogni senso. Mi sporgo seguando i riflessi di un cielo che il tempo incerto ha reso spettacolare verso la sera, mentre é un via vai continuo e non resta che cercare una taverna dove sedersi ed assaporare, il cibo, l'accento, la sera che non punge. Dietro ombre che compaiono su ogni libro di storia dell'arte, ovunque ti guardi, e pure oltre, dietro una facciata o attraverso le pareti. Piccolina, come città, immensa per tutto il resto. Io guardo dentro uno specchio d'acqua, qua e là, come se mi stessi affacciando per scrutare un mondo nascosto attaccato all'anima.



Non saprei da dove iniziare. Seguendo un percorso tortuoso che tanto mi perdo comunque, per le vie di Firenze. Magari dalla stazione, quando arrivo a notte fonda, ed arrivo in un ostello che da una stradina si apre in cortili rossi ed arcate di mattoni. O forse dal giorno seguente, partendo dal mercato di San Lorenzo e respirando già l'odore forte della pelle lavorata o quelli invisibile della carta fiorentina. Ci sono tanti richiami a quei mondi che mi affascinavano fin da bambino, del Medioevo e dei cavalieri. Nella tradizione più nobile dei Comuni italiani: mi sovrasta, una volta entrato nella sala consiliare di Palazzo Vecchio, con i dipinti del Vasari e quelli che non ci sono ma nascondono una leggenda misteriosa, le statue di marmo e le decorazioni a grottesca. Immerso nella folla. Troppa, anche se io ne faccio parte. Passando per il Duomo, così come per Piazza delle Signoria, chissà quante volte. Osservando montagne di gelato e vassoi di dolci. Arrivo sul ciglio dell'Arno, ne seguo il corso, aggiro il Ponte Vecchio, e mi trovo dall'altra parte della città. Rimarrò sempre affascinato da strade così, strette e silenziose, illuminate dalla luce aranziata dei lampioni. Immagino mozziconi di candela, ed il rumore del fiume che arriva soltanto attraverso una brezza d'aria umida. Fino a risalire una scalinata allungata, "al monte" come il nome della chiesa che lo sovrasta. Ed arrivo a sporgermi da una balaustra, un giorno di Pasquetta, caldo senza soffocare, che si perde tra tetti, cupole ed eco che si riflettono senza fine. Come uno sguardo gettato sullo specchio di una pozzanghera.




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