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"Place me on Sunium's marbled steep..."


 


13 maggio 2008 E' l'alba quando arrivo al Pireo, il porto di Atene dal passato glorioso... il viavai di persone già a quest'ora è impressionante; il blu del cielo è ancora intenso, eppure mille attività frenetiche si sviluppano sotto i miei occhi... tra navi ormeggiate, venditori ambulanti e sguardi più o meno rassicuranti, mi sento soffocare... ...sbuco fuori dalla metropolitana ed il mio sguardo vola subito lassù... l'acropoli, i cui marmi sono scaldati dai riflessi della prima luce del giorno, svetta orgogliosa su una distesa di cemento, su un brulicare di vite... io sono là in mezzo, un puntino indefinito... la città si deve ancora svegliare – del resto i ritmi greci non si fanno certo sottomettere da una metropoli – qualche negoziante inizia ad aprire le proprie vetrine sulle strade del quartiere di Plaka, tra poco qui sarà un fiume di turisti... Uno scalpellino lavora sul ciglio della strada, qualche bambino si avvia verso la scuola; sorrido al pensiero che possano dire di andare a scuola ai piedi dell'acropoli... Non perdersi ad Atene è impossibile, lo scopro subito zigzagando senza meta; le viuzze, seppure deserte, creano a prima vista un dedalo inestricabile... il mio pensiero corre al Cairo, al disorientamento che anche allora avevo provato, al senso di caos incontrollabile – la prima reazione era stata di rimettere piede sull'aereo da cui eravamo scesi – ma questa volta in più son da solo... è come se tutto turbinasse attorno a me! Mi rifugio al Museo Archeologico, passando davanti al Politecnico: qui il sangue degli studenti ha macchiato le pagine di storia, lo so perchè qui ha inizio uno dei libri che più hanno rapito la mia immaginazione... Percorro gli ampi saloni, attraverso con lo sguardo secoli di storia: gli ori, i marmi, i vasi, tutto evoca un mondo perduto... sguardi e movimenti rubati ad un attimo, idealizzati, scolpiti nella pietra per l'eternità... penso a John Keats, alla sua Ode e guardo visi di giovani strappati alla vita, di vecchi pensierosi, di madri piangenti... queste figure mi lasciano in fondo all'animo un senso di amarezza... Fuggo dalla città, vado a Capo Sunio... ed è subito poesia... su uno sperone roccioso, a strapiombo sul mare, quello che resta di un tempio dedicato a Poseidone sfida il vento e domina le onde che laggiù si infrangono sugli scogli... per chi arrivava dal mare questo era il conforto di essere vicino a casa; anche Egeo attese qui il ritorno del figlio, da qui, disperato da un falso segnale si gettò in mare... Le nubi oscurano il cielo, non è il tramonto che avrei desiderato... ma forse è giusto così... le rovine attendono immobili, silenziose... pochi visitatori attorno a me, ma è come se non ci fossero... è un luogo dell'anima, è qualcosa dentro di me, davvero non si può descrivere... descrivere il sedersi sul fianco della collina a guardare il mare e oltre, il Peloponneso ed il profilo delle isolette che lentamente spariscono avvolte dalla foschia... guardare le barche, laggiù percorrere chissà quali rotte, ed osservare i riflessi argentei del sole sul pelo dell'acqua... sentire il vento salire dal mare e, sibilando tra le pietre, portarne il sapore sulle labbra, il suono alle orecchie, le lacrime agli occhi... Penso ai poeti romantici inglesi, che hanno inciso il proprio nome sul marmo bianco, scolpendone in compenso l'immensità con i loro versi eterni... mi scorrono davanti agli occhi i dipinti di Friedrich, le sue vedute sfumate, i suoi colori cupi... Immagino un pianoforte suonare per me, quassù... ascolto fluire le note, in una sequenza senza soluzione di continuità... dal mio cuore, come trafitto, sgorgano la passionalità di Rachmaninoff, la tenera tristezza di Chopin e tutto il fuoco di Beethoven... ascolto la poesia di questo luogo, ascolto il mio cuore...


(cercavo un'immagine oggi, da mettere, che fosse identica ad una di quelle catturate da me, poi perse sciaguratamente... non riuscivo a trovarla... alla fine ne ho scelta una che non apparisse "reale", perchè rispiecchiasse l'idea che davvero, questo sia un posto da portare con sè, nel proprio animo...)

Place me on Sunium's marbled steep, Where nothing, save the waves and I, May hear our mutual murmurs sweep; There, swanlike, let me sing and die: A land of slaves shall ne'er be mine-- Dash down yon cup of Samian wine!

G.Byron


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