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Parte Prima - Introduzione


 



"Antenato di Cinggis-qagan fu Borte-Cino, nato per volere del Cielo Supremo. Sua consorte fu Qoa-Maral. Essi apparvero dopo aver attraversato a nuoto il Tenggis (mare interno). Pascolarono le loro mandrie presso la sorgente del fiume Onon, al Burqan-qaldun, e loro discendente fu Bata-Ciqan..."



Ho pensato questo viaggio come un'infinita variazione. Infinito era il paesaggio che si stendeva davanti a me, continuo, impossibile da contenere. Quest'idea delle variazioni, come fossero note di una stessa melodia, si é fatta avanti poco a poco, mentre questo paesaggio lo osservavo attraverso un finestrino, a tratto sporco di polvere a tratti rigato di pioggia gelata, sbalzato di qua e di là su una strada che non esisteva, tracciata com'era dal passaggio di altre ruote a cercare una linea ruvida e selvaggia su un suolo che non aveva altro da dire che tormentare le ruote del furgoncino. Così ho immaginato il mio racconto, perso in un luogo dove ogni misura aveva perso qualsiasi significato e dove il tempo aveva assunto un'altra dimensione.



Qualcosa nel nulla risplende. A chiunque avessi detto che sarei andato in Mongolia, la reazione era sempre la stessa. Cosa c'é mai da vedere in Mongolia. La mia risposta, pure, lasciava poco spazio, riassunta in un'alzata di spalle. La verità é che non so esattamente perché mi sia sentito così attratto da questa terra. E narrare la mia attrazione per il deserto come luogo dell'anima difficilmente mi avrebbe aiutato. Ma c'era di più. Forse, implicitamente, legavo in modo indissolubile questa terra con la sua gente, un pugno di anime sparso in una vastità troppo grande da contenere e da assere assogettata, soverchiato dal numero di animali da bestiame, dal rumore di quei cavalli cui hanno legato da sempre la propria vita, chiamati per nome, uno ad uno, come prolungamento pulsante di loro stessi. Non mi sbagliavo. Legavo la loro storia ad un viaggio, per eccellenza, un peregrinare senza meta, continuo, che si assimilasse alla loro stessa esistenza, e ad un senso di ospitalità ancestrale quanto necessario per sopravvivere. Perché in un luogo come questo non potrebbe essere altrimenti, ed il conforto riservato al viaggiatore, chiunque egli sia, é una regola sacra che in semplicità e necessità si tramanda attraverso la steppa.



Ho pensato che in un certo senso stavo osservando la Terra così come era senza il dominio dell'uomo. Incontaminato e rispettato in osservanza di un equilibrio universale col cielo come una volta azzurra, ciò che vedevo era quanto di più primitivo abbia mai immaginato. E' un'idea che mi ha affascinato, sin dalla prima volta. Così come il terreno, anche il mondo delle persone scorreva in un'altra dimensione, come un tempo antico, di centinaia di anni, non lontano da quello che ha visto questo popolo conquistare il mondo. Nella crudezza della natura ho trovato la loro forza, forgiata giorno per giorno. Queste tre settimane sono passate seguendo quel tempo, scorrendo con una lentezza tale da farmi sentire come se fossi stato via molto, ma molto più a lungo. E' stato un viaggio che ammetto mi ha provato fisicamente, piegato negli ultimi giorni da un tempo che stava cambiando rapidamente verso un inverno che risulta presto diverso da quello cui siamo abituati, e da uno spostamento continuo. Questo, in un certo senso, é stato il limite da oltrepassare. Oltre, ho trovato luoghi di una bellezza straordinaria, il calore di un fuoco condiviso ad avvolgermi, ed una delle cose più spettacolari cui abbia mai potuto partecipare.



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