E' l'unica foto che ho catturato. Fatta per di più una volta che sono tornato, e lentamente ho iniziato a disporre qualcuno degli oggetti sul tavolo di casa, al termine di un viaggio di ritorno non programmato e lungo nel tempo, nelle distanze di un itinerario assurdo, e soprattutto nell'attesa che l'ansia non faceva passare mai. Ho tolto la mascherina, e respirato, aria fresca dell'alba, e suolo in qualche modo di casa. Ho lasciato dietro di me tante aspettative, un viaggio che era una promessa ed un'attesa, chissà quante immagini e quante strade, racconti non scritti. Ma soprattutto, ho lasciato dietro di me un pezzo di cuore. Perché lei é rimasta là, e difficilmente potrebbe essere altrimenti. Impossibilitato ad andare avanti, da qualcosa di sconosciuto e non chiaro, attraverso le scarne informazioni che riuscivo ad ottenere da un collegamento internet stretto nella maglia di un qualche controllo. Che le cose fossero molto peggio nella realtà lo testimoniavano le strade deserte, quelle strade che mi hanno sempre affascinato e divertito, ora spettrali e silenziose in una città immobile. Quel silenzio mi ha afflitto e rattristato. Ho temuto che in breve tempo i collegamenti sparissero ed i voli fossero chiusi. Come chiuse diventavano sempre più metropoli, e poi luoghi cittadini, i mercati, le scuole, i ristoranti. Inviati del governo regionale bussavano di porta in porta registrando chi fosse in casa ed assicurandosi che non vi fossero persone provenienti dall'Hubei, la regione confinante ormai ridotta ad una sorta di enorme lazzareto in quarantena. E nel frattempo, capodanno é stato un momento intimo in qualche modo distaccato dalla realtà, in un isolamento da tutto, non fosse stato per la televisione e qualche fuoco d'artificio sparato privatamente in lontananza. Come del resto quei pochi giorni che alla fine sono rimasto. Osservando questi ricami di carta che in qualche modo avrebbero dovuto descrivere il mio viaggio ed abbellire le mie pagine di diario, cercando notizie a singhiozzo che intanto diventavano sempre più negative, e rigirandomi nella notte cui non riuscivo ad adattarmi, data la differenza d'orario ed il fatto di non muovermi. Questi ricami, che ho portato con me, e che sono ora il ricordo di qualcosa che non c'é stato, dal dragone danzante ai fuochi, fino alle pieghe delle terrazze inondate d'acqua, e qualcosa da fare insieme, come promesso.
Con gli occhi spalancati, mi rigiro nel letto cercando un sonno che non accenna ad arrivare. Ed allora guardo lei, osservandola con le immagini della stanza, i ricordi e le storie di una vita che intuisco, immagino, sento premermi il petto. E, come già mi é capitato la prima volta che sono venuto, provo un senso profondo di malinconia e tristezza, perché sento su di me questa lontananza, dei luoghi, degli affetti, di ciò che é la storia personale di ognuno, il proprio mondo. E so che é qualcosa che mai si potrà colmare. E so quanto pesi, moltiplicando quello che é il mio senso di distanza con il suo. Ho malinconia per quanto accade, questi giorni, perché comunque era qualcosa di importante e di atteso, ed ora invece che niente é ralizzabile e ci lega ancorandoci ad una situazione che non si sarebbe potuta immaginare, ma che evidenzia tutti i limiti di trovarsi così distante, ancora più impotente. Ho questa immagine, legata al capodanno che é stato, all'aver disposto oggetti e regali come faccio con un albero di Natale. Sorrido. In questa immagine c'é tutto il sentire per questo giorno, il perché essere qui, anche nonostante tutto, i desideri e le attese. Ed ancora nella penombra della notte osservo quelle foto, sparse, che sono al tempo stesso un legame affettivo, una carezza, l'istantanea di un giorno di normalità o un momento della vita. Un senso di profonda tristezza mi opprime, inenarrabile, incondivisibile, e non saprei a chi confidarlo. Perché non c'é nientre di normale.
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