Ricordo questa finestra. Ricordo lo scorrere silenzioso del Danubio. Incastonata, ai due lati, "la perla", la città di Budapest. E' inverno, l'aria é densa di una pioggia sospesa che scende e non scende. Diametralmente opposta all'estate di pochi anni fa. E' dicembre, le piazze della città sono colme di casette che servono piatti corposi ed i tipici dolci dell'est europeo scottati attorno uno spiedo. Mi sono immerso nel mercato, quello centrale, come mi sono immerso nelle acque calde e solforose dei bagni termali. Sotto un cielo che colava una pioggerellina fine e tagliente. Poi, sono salito su un tram, l'ho sentito sferragliare, da un ponte all'altro, sul Danubio, e magari mi portava lontano, una danza, del legno intagliato dai colori vivaci o un merletto finemente lavorato. Una musica tzigana animava la taverna, la sera, prima che risalissi su un bus che si arrampicasse sulle pendici del castello, laddove quasta finestra si apre, un tavolo vuoto qualche metro più in là, e segni araldici intagliati su vetrate colorate inondate di luce. Sono sceso nelle viscere di questo luogo, che la sera rimane silenzioso e malinconicamente poetico, mi sono immerso in cunicoli che erano prigione e rifugio. La perla splendeva, nobile ed elegante, anche là sotto, carica di storia, dei suoi graffi, e di tradizioni. Riemergevo, come dall'acqua, sotto una pioggia impalpabile, tornavo, scoprivo cose nuove e rivivevo luoghi che conoscevo. Forse, ogni tanto, con una punta di malinconia. I luoghi, a volte, sono una promessa.
Si é spenata la luce del giorno come si fossero spenti dei riflettori. Nella vecchia Buda, sulla parte alta, dove i bastioni cingono la vecchia chiesa di San Mattia é come se fosse calato un sipario. Le strade sono svuotate, ancor più questa sera che i ciottoli sono specchi d'acqua piovana, ed il silenzio risplende tra viuzze in discesa ed edifici imponenti. Quello che spezza questo silenzio é il suono di un violino. Un suono solitario e malinconico, che si affaccia dal parapetto sul Danubio e l'intera città. Riconosco questo violino, riconosco quest'uomo. Ed ho un tuffo al cuore. Si protegge le mani, almeno fino ai polpastrelli, e si ripara sotto il portico, invece di ergersi al centro di una scalinata. Lo conosco, come l'ho conosciuto tre anni e mezzo fa, questo stesso luogo, un'altra sera un po' triste e molto silenziosa. Allora, suonava. E come allora mi avvicino, lascio cadere due monete ed ascolto. Ascolto ed attendo che finisca. E' a quel punto che vorrei parlargli. Ha una voce gentile, come il suono del suo violino. Vorrei raccontargli tante cose, d'istinto. Raccontargli dei miei graffi, quella volta, dentro il cuore, delle sue note che vi sono entrate dentro. Vorrei raccontargli del violinista pazzo, quello che da una strada arrivava nel villaggio ed apriva il cuore della gente, o forse di un ragazzo che canta una ninna nanna con lo zaino sotto il violino, vorrei raccontargli che cosa sia per me la fragilità dell'anima, come quella dello strumento che imbraccia. E vorrei sapere. Perché ogni sera sale queste scale, osserva la città ed intona Bach. Perché lui che suona la Ciaccona sotto un freddo pungente come fosse un maestro di sala non abbia altro palco che questo. Vorrei sapere il suo nome. Vorrei ringraziarlo della sua musica, questa sera, come allora. Seppellisco nel cuore molte domande, così come molti racconti, se non che mi ricordo di lui, che per me esiste, ed esiste come uno dei ricordi più vividi che potessi avere. E poi lascio che il silenzio riprenda il sopravvento, che lui ricominci a suonare, mentre io mi appoggio al parapetto ed osservare. Credo che questo resterà per me un luogo dell'anima, uno di quelli che mi entrano dentro, indissolubilmente. Questo punto sopraelevato, la sera, il suo silenzio antico fuso nelle pietre illuminate d'oro e la veduta che da quassu si scorge. Forse inestricabilmente legato ad un senso di tristezza e delle ferite che non andranno mai via, anche se questi passi nascondono in realtà soltanto cose belle ed affetti profondi. E soprattutto, il mio violinista pazzo, quest'uomo reale e dalla voce gentile, che ogni sera sale fin quassù, si affaccia su un mondo e con grazia intona Bach sul proprio violino, ed inconsapevolmente accarezza il mio cuore.
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