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Melodie portoghesi


 



C’è qualcosa che mi sfugge in queste note, in questa melodia... qualcosa che non riesco ad afferrare, forse comprendere... Lo sguardo fisso sul calice riempito di porto, sui riflessi sanguigni del vino animati dalla luce di candela, avvolto dal profumo che mi inebria e dal sapore forte che mi da alla esta... Ascolto questa voce, maschile, profonda, sospesa nel l’aria. E misteriosa, come misteriosa è questa figura nera che canta, un’ombra incorniciata dalle arcate gotiche che disegnano la struttura di una chiesa sconsacrata. Avvolto nel tabarro, sguardo lontano e pungente, ieratico, continua a cantare, e scuote il silenzio attorno e dentro di me; tace, e riprendono voce la chitarra e la viola, e ancora canta... note di malinconia, che hanno il sapore salato del mare e la brezza fresca delle colline, si incontrano qui, a metà strada. E immagino cambi improvvisi di visuale, come se ruotassi un’obbiettivo e sfuocassi le immagini, da lontano e da vicino, su questa città, Coimbra, incastonata su sentieri ripidi e stretti che mozzano il fiato sotto il sole battente ed il cielo limpido del giorno; e poi dall’altra sponda del fiume, la sera, brillante delle sue luci di vita, o nel caos delle strade ed il brulicare di gente nella piazza proprio qui fuori, la mattina. E, come se rimettessi a fuoco, torno qui, lo sguardo annegato nel bicchiere, a cercare di comprendere ciò che mi manca. Intona nuove melodie, l’uomo avvolto nel mantello che tanto ricorda gli studenti universitari, attraverso le vie della città, lungo i vicoli tortuosi su cui si affacciano le confraternite, fin su, dove si apre il grande chiostro rinascimentale e gli interni di biblioteche scintillanti d’oro e di legni pregiati. Osservo queste vite, di passaggio; sospeso, ascolto il fado e vado alla deriva...




Non fluì dalla strada del nord né dalla via del sud la sua musica selvaggia per la prima volta nel villaggio quel giorno. Egli apparve all’improvviso nel sentiero, tutti uscirono ad ascoltarlo, all’improvviso se ne andò, e invano sperarono di rivederlo. La sua strana musica infuse in ogni cuore un desiderio di libertà. Non era una melodia, e neppure una non melodia. In un luogo molto lontano, in un luogo assai remoto, costretti a vivere, essi sentirono una risposta a questo suono. Risposta a quel desiderio che ognuno ha nel proprio seno, il senso perduto che appartiene alla ricerca dimenticata.

La sposa felice capì d’essere malmaritata, L’appassionato e contento amante si stancò di amare ancora, la fanciulla e il ragazzo furono felici d’aver solo sognato, i cuori solitari che erano tristi si sentirono meno soli in qualche luogo. In ogni anima sbocciava il fiore che al tatto lascia polvere senza terra, la prima ora dell’anima gemella, quella parte che ci completa, l’ombra che viene a benedire dalle inespresse profondità lambite la luminosa inquietudine migliore del riposo. Così come venne andò via. Lo sentirono come un mezzo-essere. Poi, dolcemente, si confuse con il silenzio e il ricordo.

Il sonno lasciò di nuovo il loro riso, morì la loro estatica speranza, e poco dopo dimenticarono che era passato. Tuttavia, quando la tristezza di vivere, poiché la vita non è voluta, ritorna nell’ora dei sogni, col senso della sua freddezza, improvvisamente ciascuno ricorda - risplendente come la luna nuova dove il sogno-vita diventa cenere - la melodia del violinista pazzo.

(F.Pessoa – Il violinista pazzo)




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