Mi sembra quasi incredibile che sia passato così tanto. Sette anni, era il 2009, più o meno proprio questo periodo. L'ultima volta che sono stato a Londra. Sembra un attimo, e così é passato il tempo. Un lampo che fa paura, a cercare di ricostruire cosa era, allora, cosa é adesso, chi scrive, sempre su pagine leggere e nascoste nel mare anonimo di un blog. Io cammino. Dalla prima mattina, quando il cielo grigiastro si fonde con l'aria fredda ed il sabato mattina della città addormentata nell'abbraccio del fine settimana. Ho un po' vagato, un po' sono andato a destinazione sicura. La sera sono tornato senza meta, tra luci e silenzi. Il pensiero di tanto tempo che mi separa dal mio ultimo sguardo é qualcosa che mi sconcerta e mi immalinconisce. Vago senza meta precisa, quasi cercando una risposta ad una domanda non fatta, alla ricerca di tutte quelle immagini che mi sfiornano un attimo soltanto e si frappongono tra l'ora e lo ieri. E forse la risposta é una canzone, sconosciuta, mai udita, se non lungo la sponda del fiume, dietro le arcate di un ponte e sotto l'ombra di un occhio gigante. So solo che queste note si sposano bene col filo di pensieri e sentimenti che provo in questo momento, e quasi mi immagino un'ombra che si muove dentro la colonna sonora di un film. Mi é sempre piaciuto attraversare il Tamigi e risalirlo lungo il Southbank. Un uomo pizzica la chitarra e nella notte canta per sé, per un penny forse, con una voce ed una musica che, tra l'ironico ed il sognante, suona quasi di abbandono. Il suo palco é un lampione acceso nella notte. Il suo pubblico é l'oscurità infinita che gli si stende davanti. Due monete cadono nella custodia aperta dinanzi a lui.
Le scogliere bianche di Dover sono più quello che ne rimane, ormai. Ho il tempo un attimo soltanto di guardarle dal finestrino di un bus che scende dal traghetto quando l'alba ancora non c'é ma si sente dall'oscurità della notte che si sta dissipando. E come a Calais, il paesaggio é un intero cantiere di strade annodate tra loro e percorsi mobili delineati da blocchi di cemento. Una specchio dell'altra, in un abbraccio storicamente infinito che contrappone Inghilterra e Francia. Le scogliere di Dover, quelle che comparivano nelle prime lezioni del libro di grammatica inglese delle medie, sembrano un tetro profilo di sfondo, il cui grigiore del punto di imbarco/sbarco ha sottratto ogni poesia. Prima che gi occhi si chiudano e risprofondino nel sonno della traversata.
Sollevo lo sguardo: le linee snelle ed acute disegnate nella pietra si perdono verso un'altezza indefinita, così pare, dietro stendardi che calano dai lati. Osservo le figure, narrazione a me complicata, fusione di storie. E resto seduto, come su uno scranno, entro uno di quei sedili intagliati nel legno. Blasoni, stemmi, ogni centimetro quadrato trasuda storia, cavalleria ed onore. Fusione col potere e tradizione, che quasi uno stenterebbe a credere possa essere ancora attuale. Ed invece é così, e non potrei sentirlo meglio che in questo modo. Voci bianche, messa cantata, luci deboli come candele. Nella Cappella Reale di Windsor, per entrare, la domenica, é necessario presentarsi come penitente ed unirsi alla Celebrazione. Il reverendo ed un accolito - una donna - danno il benvenuto sull'uscio della chiesa. Insieme a me, idealmente, appena entrato, si affiancano ordini cavallereschi che giorno dopo giorno, fino ad oggi, fino a questo momento, si imprimono nella pietra grigia e possente coi loro codici ed i loro valori. Ed io, sempre seduto sul mio scranno, mi sento come sospeso senza tempo, spettatore di un Medioevo come magari lo si immagina dai libri di storia o da un film. E' un'esperienza suggestiva, che mi tocca profondamente, quasi in un sogno, tra fascinazione e meraviglia.
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