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Lo scrittore di Marrakech


 


13/17 Settembre 2013



Sono mura che appaiono un po' così, all'improvviso, lungo una strada di quasi mille chilometri. Tanto é la risalita verso nord, verso un'ultima tappa. A tratti sembra quasi di riavvolgere un nastro: le ultime città polverose che ora sono le prime, l'oceano che resta sulla sinistra, i picchi sul mare. Poi, a poco a poco, é come rientrare molto lentamente in un altro mondo: la strada é costellata di circonvallazioni, si accenna un po' di traffico, i bambini scendono dai furgoni e camminano sul ciglio con lo zaino sulle spalle. Taroudannt é questa città protetta da mura intatte e circondata da un paesaggio di roccia lunare. Taroudannt é una città che mi appare quasi tranquilla, con tutto quanto conservo ancora negli occhi. O forse sono un po' anche io che mi muovo e mi guardo con una prospettiva diversa, con una meraviglia diversa. Ecco, tutto quanto sta mutando velocemente. O quasi, che arrampicandosi su una stradina semiasfaltata sulle montagne dell'Atlas non é poi così banale. Non sono banali i villaggi, sospesi su spuntoni di roccia, costruiti di terra impastata e coperti di panni. Oasi sospese nell'aria rarefatta, dietro una curva, dove una corriera che arranca si ferma digrignando i freni. Non é banale l'ultimo passo, tra due spuntoni di roccia, la luce del sole che si inserisce di sbieco, un attimo soltanto, prima che si nasconda dietro le nubi. Dietro e davanti, un lungo serpente senza capo né coda.



Mi basta camminare qualche minuto per Marrakech per riguardare indietro al mio viaggio con occhi diversi. Forse per la prima volta, é come se mi rendessi conto delle miglia percorse, di quanto lontano, in ogni luogo, abbia cercato di andare. E' come se la fatica e la tensione crollassero, all'improvviso. Forse, é camminando qualche minuto per Marrakech che do un senso al viaggio che ho fatto. Dinanzi a gruppi di turisti, a luoghi quasi presi d'assalto, ai ristoranti, i locali e le escursioni reclamizzate, dinanzi alla gente. Pure le strade, per quanto caotiche, sono diverse. Questo non é il Marocco che ho veduto e vissuto per oltre tre settimane, é così diverso, a tratti un altro mondo in confronto agli estremi visti finora. Infine, sì, sono arrivato a Marrakech. Con esperienza, stanchezza e pure di già qualche nostalgia. Mi immergo in un souq enorme, senza possibilità di potersi raccappezzare con sicurezza. Osservo foto in bianco e nero e sguardi impressi sulla pellicola. Osservo tra i raggi di sole che filtrano dalle coperture di paglia, dalle grate in ferro battuto di una scuola coranica, dalle porte coperte di marmo di un riad. In questa città, dove le diseguaglianze sembrano declinate al massimo, un cocktail tra le vie regolari della città nuova può costare più di tre cene in un buco qualsiasi della medina, dove motorini strimpellano evitando carretti.



Il personaggio più curioso di Marrakech non é marocchino. E' un canadese che vive da mesi, ormai, nello stesso riad dove sono arrivato io. Si chiama John e benché sia un artista inizialmente capisco che faccia lo scrittore. Il che in realtà non é completamente sbagliato: perché John realizza le sue opere con quaderni e quaderni di trascrizione. Di quest'uomo mi colpisce l'incredibile immobile mobilità: in viaggio da oltre sei anni, si ferma in un luogo o nell'altro per mesi, addirittura per anni. Eppure, non ha mai visto, né ha mai sentito il bisogno, di vedere cosa ci fosse attorno, al di fuori della città in cui ha vissuto. Veste abiti tipici, ha negli occhi esperienze di ogni sorta e parla di qualunque cosa senza scandalizzarsi. Un personaggio, sembra, al confino. L'altro volto che ricorderò di più di Marrakech é un volto senza nome, quello di un venditore ambulante, uno dei tanti, che mi acchiappa una sera nel centro della città. Non voglio comprare, ma la conversazione é talmente divertente che lui stesso ride di gusto, tra le sue controfferte ed il mio spagnolo per dirgli che il borsello sta vuoto ed ha chiuso i battenti. E' uno di quei volti che hanno acquisito nel tempo la saggezza della vita. Lo reincontro una, due volte, il giorno seguente tra le viuzze del souq, mi riconosce e ridendo mi saluta. Ed ancora mi riaggancia la sera seguante, allo stesso posto, con le stesse sue offerte, prima di accorgersi che sì sono ancora io, e di rimettersi a ridere, ripetendo entrambi lo stesso teatrino della sera precedente e stringendomi la mano. Che anche questo é Marocco. Che nome strano, Marrakech, non potrei immaginare qualcosa di più esotico. Esotico come le spezie modellate a piramide tra le viuzze di quello che era il quartiere ebraico. Un'ondata travolgente di sapori e profumi che inebriano la testa. Estese oltre ogni misura, un po' come la piazza, su cui una voltaimpiccavano la gente. Ecco, ora questa piazza enorme é un palcoscenico gigante di umanità, di quegli incantatori di serpenti, cantastorie, suonatori e venditori che dalle immagini di un Paese intero, di un viaggio intero, sembrano essersi ridati appuntamento qui. Uno spettacolo continuo che nella brezza della sera che si ripete alla luce del fuoco domato dento una lampada. Le voci, i volti, i rumori: ed é come se tutto tornasse alla mente per un ultimo sguardo, come se spezzoni di un film si riavvolgessero velocemente. E con loro, i volti senza nome e quelli di cui ho cercato di ricordare, il calore del deserto ed il silenzio imponente dei paesaggi, la mia fatica, qualche amarezza e la meraviglia, tutto insieme. Lungo una strada che non finiva mai, é che alla fine é giunta fino a questa città dal nome esotico ed un po' mitico, fino a questa piazza pulsante che ancora continuo ad osservare.




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