"Io sono nato in Sicilia e lì l’uomo nasce isola nell’isola e rimane tale fino alla morte, anche vivendo lontano dall’aspra terra natìa circondata dal mare immenso e geloso."
(Luigi Pirandello)
Ho già promesso a me stesso che tornerò. Appena sbarcato sul molo, abbagliato dai riflessi del sole di mezzogiorno e da un azzurro intenso come avevo dimenticato. Il tempo trascorso a latitudini ben più a nord rende queste piccole cose ancora più speciali. E dopo un passo, già ho desiderato fermarmi di più, rallentare il tempo al ritmo che percepivo, attorno, dal suolo sotto i miei piedi, dalla cima dell'imbarcazione che mi aveva portato lì e già si stava allontanando. Sono stato investito, immediatamente dal calore che traspirava il terreno, i profili degli oleandri e le fronde tremanti degli ulivi, la spiaggia di sabbia vulcanica. E la terraferma improvvisamente sembrava lontana oltre misura, oltre la manciata di miglia nautiche che avevo appena percorso.
E' un'ascesa lungo la nuda roccia. Il sole ancora si fa sentire, e si propaga in attraverso i riflessi abbaglianti della pietra stessa. Il fianco del vulcano é un alternarsi di blocchi squadrati e ciottoli che quasi diventano polvere. Il fianco é un serpente che sale imboccando una stradina attraverso i campi coltivati, appena fuori il paesello. Ancora, in salita, e non é solo la polvere a seccare la gola: sono ancora lontani, ma le sbuffate sulfuree arrivano a seconda del vento.
Sento che la cima é vicina, ed il bordo del cratere si svela all'improvviso, ultre un ultimo blocco, una piana leggeremente discendente in mia direzione. I colori adesso diventano una continua variazione, là dove le fumare permettono di scorgerli. Ed allora mi volto, ad osservare il paese, l'isola successiva, e poi un'altra ed un'altra ancora, fino a perdersi nel profilo sfumato di Stromoboli. Mi volto ancora, a contemplare la circonferenza del cratere, ed il Vulcano improvvisamente mi appare un piccolo gigante ammansito, che sbuffa quasi stesse chinando la testa al fratello maggiore. L'odore intenso che arriva a zaffate, gli occhi che pizzicano mi ricorda che non per questo tale respiro sia meno pericoloso.
Sto attendendo il tramonto. Anche il Vulcano in qualche modo ai miei piedi. Guardo oltre, verso il mare, ed i colori del cielo che iniziano a tingersi di toni infuocati. Le lacrime agli occhi non sono soltanto lo zolfo che evapora dalla pietra. Una frattura, enorme. Probabilmente uno dei tramonti più tristi che avrei potuto immaginare. E così tutta questa bellezza arriva fino a ferirmi. Ombre di gente che costeggiano il cratere, che si fermano ad osservare, nella stessa direzione. Sono eco lontane, che si perdono nell'aria, nella vastità del mare, ovunque, ai miei piedi, nell'abisso dei pensieri nei quali sto profondando. Questo é gia deserto.
I fari hanno un fascino particolare, la loro posizione eroica e solitaria li rendono luoghi dell'anima a cui é impossibile sfuggire. Sono lontani, spesso, difficilmente raggiungibili, magari sospesi in "luoghi non-luoghi" che soltanto il navigante sa ritrovare. L'aliscafo procede, attracco dopo attracco, seguando una linea nascosta nell'acqua. Stromboli é l'ultima delle isole, l'ultimo attracco, quello dove il mondo per così dire normale appare sempre più remoto. Gli isolani si distinguono subito, basta osservare i loro bagagli da viaggiatori esperti e navigati. Nel cielo terso il profilo dell'isola appare da molto lontano, l'ombra scura di un cono perfetto piantato in qualche modo nel mezzo del mare, una meta che per tutto il tragitto in barca sembra un miraggio che continua a sfuggire. Le nubi salgono dalla terra e si perdono concentriche, nascondendo la cima come fosse un cappello. Stromboli é il faro d'Europa. E' un sogno che desideravo realizzare.
Profondo blu. Il cielo che si capovolge ed intenso scende negli abissi, seguendo i raggi del sole che trapassano l'acqua. Un respiro ed un balzo, quasi illusorio per rimanere sospeso un attimo in questa tela monocolore. Guardare questo mondo capovolto mi ha sempre trasmesso un misto di fascino e paura, una vertigine al contrario, dove il buio sembra non avere confini. Riemergo, un altro respiro, e un isolotto che spunta verticale sopra la mia testa interrompe la linea del mare. Curioso nome per un blocco di pietra sputato verso il cielo dalla bocca del gigante. Inaccessibile ai comuni mortali, il profilo di un faro é l'ultima propaggine che marca la continuità della roccia verso il cielo. Nuovamente, sott'acqua, mi spingo veros il basso, avverto la pressione, eppure il fondale nascosto non si é mosso di un millimetro. L'immensità sprofonda, verso la terra.
Siamo giunti in barca dall'altra parte dell'isola. Costeggiando il fianco della caldera che crolla verso il mare. E' un'immagine desolante e tremendamente potente allo stesso tempo, una cruda caduta di massi che frana verso il mare. E' qui che il fuoco incontra l'acqua, fondendola. Dall'altra parte dell'isola, se il paese principale dell'isola pareva un mondo remoto, la contrada che si arrampica dal porticciolo in pietra ed acque cristalline mi da la sensazione di trovarmi ad una distanza siderale. Qui, dove un nugolo di case si snoda tra fiori profumati e gigantesche ramificazioni di piante grasse, dove qualche anziano seduto su una panchina osserva i nipoti correre sulla piana di una piazza microscopica, ed i gatti si muovono mollemente senza timidezza nei confronti degli uomini, mi domando perché mai valga la pena seguire le lancette di un orologio.
Non mi sono mai avvicinato tanto. Mentre il tramonto cede via via l'ultima luce alla notte, lo spettacolo pirotecnico diventa ancora più sgargiante. Annunciate da rombi sordi e minacciosi, lingue di fuoco fuso sono sparate come fontane ad intervalli regolari. E se l'arco che disegnano nell'aria é una sciabolata di luce, il contatto col terreno é drammatico ed alimenta il terreno come fossero braci. Una fucina che non si ferma mai, come se un qualche dio, nascosto in quell'antro infernale di fuoco e fiamme, avesse intrapreso l'impresa titanica di portare a compimento una qualche opera che non conosce fine. Vorrei restare arrampicato qui, ad osservare rapito questa forza primordiale che si scatena davanti a me, qualcosa di unico, che non avevo mai visto finora, in un misto di emozioni contrastanti che mi pongono dinanzi al fascino dell'incomprensibile. Salire fino a quassu, ultimo punto di accesso consentito era un sogno che portavo con me. Per potere, in silenzio, osservare, sentire, piangere.
Come era partito, il traghetto é tornato. Dal porto, mi chiama, perché già é ora di partire. Troppo poco tempo. Mi lascio alle spalle le acque limpide e le spiagge nere di pietra vulcanica, ed i vicoli attraverso cui si muovono a malapena quei furgoncini che si vedono normalmente tra i campi da golf, le case imbiancate come fosse calce viva, suggestioni da film e lancette di un orologio che girano a rallentatore. Il sole accecante del molo, i movimenti delle piccole imbarcazioni che alternano pesca e turisti sono le ultime immagini che raccolgo in un mezzogiorno torrido di settembre. Il mare é un azzurro brillante a cui vorrei ora aggrapparmi per un'ultima carezza, un'ultima possibilità. Il faro d'Europa si accenderà nuovamente, questa sera, quando il traghetto sarà già lontano.
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