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Labirinti della mente, nodi dell'anima


 



6 Agosto 2012 Corre nella notte, il treno, quasi mi riporta indietro. Alle spalle restano i tentativi ripetuti alla biglietteria, l'imbarco, più complicato che al gate di un aeroporto, una ragazza che piuttosto melodrammaticamente affonda lacrimoni d'amore nel cuscino, ed il controllore che spegne le luci alla mezzanotte. Suzhou, con i suoi giardini, dovrebbe essere un dipinto strappato alla modernità, ed invece nell'alba già afosa mi trovo reimmerso nel caos di una metropoli, nell'assurdità delle direzioni, delle uscite, dei vincoli che mi fanno girovagare per quasi un'ora dal lato sbagliato della stazione, tra tassisti abusivi in motorino, braccia protese e cartine in svendita, senza riuscire ad attraversarla. Riscendo per strada, verso nord, nel quadrato magico che dovrebbe essere la città antica. Giardini. Labirinti della mente, del pensiero, delle gambe. Un po' meno nascosti, nell'affollamento generale, ancora più intricati, nel caldo e nei rumori che ne deturpano il loro essere stesso. Ma voglio perdermi comunque, tra padiglioni e fiori di loto, nella pietra che scurisce netta all'ombra del sole, ed sui ponti di pietra che balzano all'improvviso. Frotte di pesci rossi seguono dall'acqua verdastra i movimenti degli uomini, si ammassano, scavalcano quasi per una briciola di pane, si divincolano nell'acqua. Scendo verso sud, lungo una strada preservata dal tempo dove ancora la polvere si deposita bianca sui mattoni delle case, due vecchi sollevano pedine rotonde con le pedine degli scacchi ed un uomo siede chino nell'ombra dell'ingresso alla propria casa. L'acqua dei canali scorre lenta, così come la vita, ancora non disturbata dalle masse di visitatori, nell'ora di mezza giornata. Sembrano così lontani i rumori della strada, gli ingorghi dietro l'angolo, i grattacieli che rimangono nascosti dai profili antichi delle case, e le scarpe si coprono anch'esse di un velo di quella polvere bianca come fosse storia. E tra i giardini minori, più nascosti ed inaccessibili, dopo aver attraversato file di mercatini, ritrovo il silenzio di allora, il rumore silenzioso del vento tra i sassi disposti ad arte a creare un piccolo universo circoscritto e quello brillante dell'acqua che increspa ai miei piedi, dove le finestre di una stanza si aprono ed il sapore del legno s'intride nell'aria. Quanto cammino ancora, perdermi ritrovarmi e perdermi ancora. "Mi piace questa città", una ragazza si è seduta con la mamma al mio tavolo e proprio lei parla inglese e mi aiuta nell'ordinazione nella quale mi ero lanciato. Tra piatti che arrivavano in continuo. Lei è tornata, sembra incredibilie ma scopro che è stata un anno in Europa, un anno in Olanda, un anno in quella città. E' tornata a casa, ed io voglio sapere il suo nome vero, non quello occidentale che usava da noi, prima che con la madre salga su un motorino e carica di bagagli scompaia nel traffico.


7 Agosto 2012 Un alito di vento, legni che si sfiorano tintinnano nell'aria. Una foresta rossa, di nastri cui sono appese targhette votive dipinte nel legno: sono appesi lungo tutto il perimetro interno. Gli ornamenti sembrano d'oro quando riflettono il sole, e tutto attorno è silenzio. Di stanza in stanza, attraverso porte dalle forme più disparate ma sempre perfette, ai cui stipiti restano incisi e dipinti caratteri tracciati come esercizi di calligrafia. Gli stessi che nel silenzio delle giornate di sole, al riparo nell'ombra, mani esperte e pazienti tracciavano su carta di riso, treando quei versi che od ogni spazio hanno tramandato un nome diverso. Esco, sulla strada. Le stradine di Tongli, una piccola Venezia dell'Est, preservata nel tempo, a contatto con l'acqua, i canali silenziosi che sembrano immobili, solcati da piattaforme galleggianti di legno rozzo, rozzo come le palafitte che sono ancorate nell'acqua. Dragoni scolpiti custodiscono l'accesso, mentre aperture sulla strada lasciano intravedere le corti infinite delle case che si nascondono dietro. Utensili sparpagliati, ruote di biciclette, peperoncini stesi al sole ad essicare, accanto alle foglie di the. Ogni porta varcata, anche solo con lo sguardo sembra sia immergersi in un mondo nuovo, inaccessibile, in cui soltanto la luce rossa ed attenuata delle lanterne appese al soffitto guidano la via. Lascio Suzhou, col tramonto la strada davanti si tinge di altri colori, sul bus a due piani mi è capitato il posto davanti e la vedo scorrere come non mai, lasciandosi dietro tutti i contrasti raccolti in un quadrato magico, i caratteri luminosi e le insegne dei fast food, i cibi di strada, i vecchi su tricicli cigolanti ed i bambini che alla mattina si esercitano nelle arti marziali, le strade strette e polverose ed i grattacieli in costruzione. Arrivo la sera, una stazione dei bus fuori città e niente intorno, se non qualche passeggero. C'è un tizio che mi aggancia e mi porta dai taxi, decide lui chi e come e spara una cifra. Indico il tassametro e sembra mi stiano facendo un piacere, mentre ad uno ad uno si intromettono, ascoltano e scuotono il capo. Sta diventando un affare di stato, ma decido di non lasciarla vinta così apertamente e non mi smuovo, senza contrattazione. Per dieci minuti, poi il cerchio magico si spezza, lo capisco perchè ad un certo punto tutti iniziano a discutere animatamente. Arrivo la notte, e ci sono problemi con la prenotazione...



8 Agosto 2012 Piove. E non c'è niente da poter fare. Dovrebbe essere una giornata di paesaggi sull'acqua, camminate e sole al tramonto. Ed invece è un tifone. Per davvero. Sembra incredibile, quasi una beffa, ma fatico a trovare qualcuno che venda un ombrello. Non che serva a molto, con quest'acqua che inzuppa i vestiti e penetra nelle ossa, sfibrata dal vento che cambia direzione continuamente. Gli alberi sono piegati, ogni tanto cede qualche palo di sicurezza ed allora le radici cedono e si divelgono. Il cielo è grigio, quasi una nebbia, che avvolge ed ingoia quella che Marco Polo descriveva come una delle perle del sud della Cina. Il cielo è grigio e mi sento un po' frustrato, sotto tutta quest'acqua, di passaggio in un luogo che nella mente avevo preparato diversamente, pieno di colori e di riflessi. Ombre, al loro posto, così come quelle piccole e sfuggevoli che come me girano attorno al lago e tra pioggia e vento si perdono in una foto in bianco e nero. Mi sento sparire anch'io, ombra annebbiata nella lente di un obbiettivo che si è appannato, ancor più di passaggio, pur essendo l'unico, ora, su questo ponte, ora, sotto questo corridoio pergolato a cercare riparo. Come se il vento avesse spazzato via tutto e non rimanessero altro che disegni annacquati. Osservo le scarpe annegare nelle pozzanghere, i pantaloni bagnati, le spalle umide, e così, penso che si asciugheranno, un paio di giorni al massimo, e se ne sarà andato tutto, penso che ci sono cose che invece non se ne andranno mai. Mentre l'acqua si raccoglie sulle foglie dei fiori di loto, distese sul pelo dell'acqua, e lacrime di pioggia che ne ricalcano le venature e tracciano ragnatele d'argento. Ed immagino ancora Marco Polo arrivare, accarezzare le foglie di thè verde la, dietro le colline, e percorrere ponti dorati, di riparo in riparo, tra colori brillanti e tramonti infuocati che sull'acqua proiettano i contorni netti di architetture ed imbarcazioni. Mancati oggi, nella furia della tempesta.




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