Siamo arrivati. Lungo una linea di fortificazioni fatta di canali ed avamposti che attraversano il centro dell'Olanda. Di fronte, un viale sterrato ed un filare di alberi dietro cui di intravedono gli stipiti di legno a linee bianche e rosse. E nascosto tra rose e fili d'erba abbandonati al vento, tra un nuvolone ed uno sprazzo di sole, c'è un castello imponente. Uno di quelli da favola, e chi avrebbe mai immaginato di trovarlo qui... con le guglie scintillanti, il protone di ferro ed il fossato riempito d'acqua. La cittadella si riflette capovolta, e l'acqua immobile si allunga nel parco, lungo viali alberati e statue consunte dal tempo. Rose, sì, un po' oppresse dalla fine d'estate, piangono lacrime di pioggia o forse per il messaggio di una madre inciso nella pietra. Cammino, nel silenzio tutto particolare ovattato dagli alberi. E loro sono lì, quasi fosse ancora una riserva di caccia. Pigri, strappano l'erba distesi, pungolati dalle mosche. Ed allora attendo. Uno scatto, le zampe dritte e lo sguardo fiero. Così li immagino, come nel brano di Fantasia sulla musica di Stravinsky e L'uccello di fuoco. Immagino uno scatto in avanti, la carica e scontri epici che lasciano sul prato petali di rosa rosso sanguigno, il verde della tenuta negli occhi di questo animale, scintillano, cosa nascondono... in piedi infine, il manto vermiglio puntellato di bianco ed il profilo ramificato delle corna distese al cielo.
"Scendiamo qui". Tra architetture moderne e spazi aperti. Andiamo nell'Arena, quella di Amsterdam, quella dell'Aiax. Dove a suo modo un campo diventa storia e sulla storia gli uomini costruiscono il mito. Non per niente richiamando il nome di un eroe omerico. Calpesta il campo da gioco, accedi alla panchina e poi giù, nei sotterranei lungo corridoi tapezzati di foto in bianco e nero, pannelli che scivolano e gli spogliatoi. Che lo scontro inizia da qui, nella mente, percorrendo questi passaggi obbligati. Prima di lasciarsi accecare della porta spalancata, riemergere sul campo di gioco, e sentire gli spalti roteare attorno, vorticosamente. Resta una foto, papà, la tenerezza con cui la guardi, questo sguardo lo leggo, lo ricordo, allunghi la mano e la porti con te...
Non poteva che essere così, una distesa piatta spazzata dal vento. A livello del mare, o di quel che resta dell'acqua, che arriva fin qui attraverso un dedalo di canali. E mulini, a frotte, bloccati o in movimento, con la tela delle pale che sbuffa di continuo.
Ma non a Kinderdijk, no, non credo tornerò ancora: qui invece appare tutto più confezionato dentro una cupola di cristallo. E' un nuovo paesaggio, eppure familiare, ormai... dove il vento fa da padrone, sibila, trasporta sapori nell'aria e trasforma prati in onde tumultuose. Gli animali mollemente pascolano dietro le recinzioni, e le case del villaggio sono connesse da ponticelli di legno non più lunghi di un balzo. Tra bottai e fabbri, il rumore sordo del ferro battuto attraversa il tempo e risuona ora per i turisti di passaggio. Ed allora mi domando come debba essere la sera, quando i sentieri si svuotano e rimangono soltanto il rumore di uno stagno, un animale da fattoria lungo la strada e dalle case esce la luce calda soffusa e lontana di un ambiente semplice e familiare. Come in un dipinto fiammingo.
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