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Immagine del redattoreoytis

La duna di sabbia del Piccolo Principe


 


11/12 Settembre 2013


Anche a Tarfaya trovo un amico che si chiama Mohammed. Lo conosco al bancone di una specie di ristorante di due metri per quattro che ha al piano di sopra delle camere. Che, ironia della sorte, nel posto più isolato che potessi immaginare, ci sono solo due alberghi e in qualche modo sembra siano pieni. Mohammed ha ventitre anni ed é allegro. E' allegro quando mi saluta dal suo bancone e sono ancor aper strada, allegro quando mi accompagna di sopra, e quando mi accompagna all'edificio in fondo alla strada. Sorride quando mi racconta che il suo vicino di casa é un italiano che é venuto a vivere qui e, una volta entrato nella casa dove dormirò trova la lampadina fulminata e corre nella stanza accanto per prendere la lampadina che funziona e sostituirla. "Crazy Moroccans", dice, quando la luce non si accende, o quando la serratura della porta non si chiude bene. Ma non importa, perché dice, qui la gente si conosce tutta ed una volta arrivato a Tarfaya diventi un abitante di Tarfaya a tua volta. Mohammed ama questa città sperduta di fronte all'oceano, la ama perché é la sua città ed é ansioso di descrivermela, così come é ansioso di raccontarmi della ragazza che ha sposato da un mese e della sua famiglia. Scherza e sposta altrove la conversazione quando gli domando quando sarà il primo figlio. Lo reincontro spesso, Mohammed, nel giorno e mezzo che resto a Tarfaya. Per strada, ripassando davanti al suo bancone, e più tardi verso sera mentra cammino sulla distesa bianca di spiaggia. Mi corre incontro ed insiste perché mi fermi a conoscere la sua famiglia, così coime i suoi amici che sono lì con lui. Lo reincontro il giorno seguente, mentre ricarico lo zaino in macchina. Lo cerco, quasi, per salutarlo di persona ed augurargli buona fortuna. Mohammed esce dalla porta di una casa in costruzione. E', sarà la sua casa e vorrebbe pure mostrarmela. "Ora Tarfaya é anche la tua città, e enshallah tornerai con la tua famiglia a trovarmi...". Gronda di sudore per lo sforzo ed é allegro come il giorno prima, quando l'ho incontrato dietro un bancone. A me viene in mente uno di quei racconti che si leggono spesso in varie declinazioni. Ed intuisco il segreto della sua felicità. Mohammed é felice perché sta costruendo. E questa é la sua cattedrale.



Qui sono arrivato. Più forte dei "no hay nada" e dei "pais muerto", e pure dei controlli sempre più frequenti. Sono sceso nel calderone del Sahara e l'ho attraversato per duecento chilometri. Gli ultimi, almeno per me. Verso sud, oltre, fino alle porte del Sahara Occidentale. Perché qui volevo arrivare, e se c'era un posto, un punto sulla mappa che ha avuto un contributo significativo a spingermi in questo viaggio, se c'era un pensiero che mi ha incitato a proseguire, bene quello é Tarfaya. Cosa c'é a Tarfaya? Nulla, é vero, é un avamposto nel deserto, sul mare. Nascoste dall'oceano, da qualche parte, le Canarie. E' un paese di pescatori che in qualche modo vive tranquillo e tutto sommato bene, ed é pure l'unico posto dove, in tutte le strade percorse in Marocco, un albergo non si vede e non si trova nemmeno tanto facilmente. La gente assapora il tramonto davanti alla Casa do Mar e nella luce calda del tardo pomeriggio i ragazzi giocano a pallone sulla spiaggia o si gettano in acqua con una tavola da surf. Qui passavano intrepidi aviatori, i primi di un'epoca che sfiora la leggenda, che aprivano rotte, lanciavano il servizio postale. Qui facevano scalo, dopo essere partiti da Tolosa alla volta di Saint-Louis, in Senegal. Qui, uno di loro, forse un giorno durante i suoi due anni di servizio, si é seduto in cima ad una di quelle dune che lambiscono le mura del villaggio e si perdono nel mare. Forse, quel giorno, quell'aviatore scrittore ha incontrato un ragazzo con una sciarpa al vento tanto biondo da ricordargli il colore del grano. Forse, guardando le stelle brillare, nel cuore ha raccolto una penna ed ha iniziato a scrivere... In questo posto, uno di quelli "ai confini del mondo", ed ai confini del cuore, volevo arrivare con tutto me stesso. Per non vedere nulla, nient'altro che la statua di un piccolo aeroplano, peraltro attornianta da dei lavori in corso tutt'intorno, ed una stanza coperta di immagini. O forse, semplicemente, per sedermi anch'io su una di quelle dune ed osservare, capire, sognare. Sognare... su un paio di pagine leggere impresse nell'anima. "...non si vede nulla, non si sente nulla..." Sento che il mio viaggio sta terminando, che in realtà é terminato qui, proprio qui dove volevo arrivare, a dispetto dei chilometri che mi riporteranno indietro. E' come se potessi lasciar sciogliere tanta pressione e tanta fatica, per un attimo almeno. Sono esausto. "... E, seduto nell’erba, piangeva. ..."




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