9, 10, 12, 13 Agosto 2012
E' una giornata in treno, volo annullato e tanti chilometri. Inizia da una stazione affollatissima, ed una coda a forma di delta. Millequattrocento chilometri, più o meno, che scorrono così, su un treno super veloce che parte ed arriva in orario. Verso nord, accompagnato da un paesaggio che cambia, si alterna, e lascia dietro nubi grigie avvitate su se stesse. Ma con una costante, uno elemento sempre presente in ogni paesaggio: grattacieli in costruzione, uno dietro l'altro, in prospettivo od in successione, così iniziano e terminano le città. Con accanto le gru che come bracci meccanici sembrano quasi appoggiarsi, anche loro esausti alle proprie opere incompiute. Spettrale.
Esco presto la mattina, tra i vicoli degli hutong. Senza il viavai della sera, gli spiedini abbrustoliti sui barbeque tirati fuori sulle strade, senza i riflessi di luce ed i locali accesi di voci e riflessi in riva al lago, dall'altra parte della strada. Solo qualche bambino che sfiora con le dita la frutta già esposta ed i mercati improvvisati lungo le strade. Esco, passso veloce, verso sud, verso una cinta di mura rosso porpoara e torri di vedetta. Che sia l'aria pesante, o la luce della mattina che si nasconde in una nebbiolina fine, all'arrivo dalla porta nord si parano davanti come nascosta in una coltre di polvere depositata dal tempo, e dal silenzio che a quest'ora ancora é concesso. Silenzio illusorio, come si scopre presto... E la città proibita che infine si apre dinanzi a me, portone dopo portone, proscenio dopo proscenio. Affollatissima, ormai, se non fosse per le aperture laterali che conducono fuori dalle rotte più battute, e nonostante tutto questo affollamento é un po' frustrante. Non fosse per il caso che una volta giunto in fondo decido di uscire dall'entrata principale e, a poco meno di un'ora dall'orario di chiusura ritrovo gli stessi luoghi percorsi la mattina e poche persone soltanto, i rumori che si perdono negli ampi spazi lasciati improvvisamente vuoti, é come visitare un luogo nuovo ed ascoltare eco lontane, nel tempo e nello spazio, tra pietre scolpite e viali incastonati nel terreno. E solo allora mi viene in mente con tutta la sua forza il mio amico, che mi ha idealmente accolto qui dicendomi che Pechino é un po' come Roma, un città eterna. Eterno come il silenzio di piazza Tienanmen. Non quello fisico, vista la quantità di persone ed i controlli rigidissimi ad ogni accesso, ma quello storico, che idealmente giace racchiuso tra questi edifici grigi e squadrati. Il potere é più opprimente ancora nel silenzio. Come quello reale che cala con il sole e l'ammaino della bandiera, ed allora l'accesso al centro della Repubblica Popolare é interdetto a chiunque.
Mi perdo, come ogni mattina tra queste strade strette ma colme di vita e colori, a volte realizzo di aver girato in tondo ed essere tornato ad un punto familiare eppure già differente. E nella mattina che già pulsa come fosse pieno giorno mi trovo dinanzi al portone di un tempio. Sbarrato, ancora, eppure già si raccolgono turisti, fedeli e venditori di incenso. Bastoncini sottili come fili o enormi come petardi. Mi rendo conto che, seppure sia qui da oltre una settimana, pur avendo asceso una montagna sacra ed avendone sfiorate altre, ancora non sia entrato in questa dimensione, se non marginalmente. Fili di fumo salgono vorticosamente e con sempre maggior consistenza, e, di passo in passo, accedo a sale votive, sfioro ruote sacre ed ascolto il rimbombo che arieti di legno lasciano nell'aria dopo aver scosso il metallo. Ed attorno mi sorpassano, si fermano, rimangono indietro. Tra ombra e luce, l'una scintillante di colori vivaci sulle statue e le pareti, l'altra riflesso di un sole che mi accompagna ogni giornata. Con le mani giunte verso l'alto, protese in avanti reggendo bastoncini profumati e frutta in offerta. Un inchino. Un altro. Un altro ancora. Prima di rialzarsi, compiere qualche passo verso un altro altare e ripetere lo stesso rituale.
Cos'altro resta da annotare... molto in realtà, tra strade piene di colori e bianco e nero. A partire dal Palazzo d'Estate, una Hangzhou in miniatura, quasi fosse un risarcimento della giornata tempestosa trovata nel luogo originale. Restano i templi affacciati dalle colline su un lago che brilla di sole, increspato da miriadi di battelli ed attraversato da un lungo camminamento e sette ponti, ognuno di forma diversa e col titolo di una poesia differente. NOn c'é solo questo... I riflessi della notte per le strade di Pechino brillano tremolanti tra le stradine del quartire storico, gli spiedini fumanti ed il latte condensato in formaggio della Mongolia, o più a sud, per le vie trasformate in mercato dove ogni passo nasconde sorprese e contrattazioni allo sfinimento. Come del resto il giorno seguente al Silk Market, che da raccontare ci sarebbe parecchio. Ed é comunque divertente. Ed i riflessi del villaggio olimpico, infine, dove le luci si riaccendono apposta per l'estate ed il collegamento da Londra, ridisegnano le architetture e, in una specie di messinscena, ricreano l'atmosfera del villaggio olimpico. Tra bianco e nero, ultimo posto da non mancare, tra sacro e profano, e tradizione imperiale, immerso in un giardino che é quasi una foresta, arrivo al Tempio della Pace. E sotto i portici benedetti dall'ombra e dai colori ancora vivi sulle travi, scorre la musica e la vita si divide tra partite a carte ed interminabili partite di scacchi. Coi generali, seduti a fronteggiarsi, ed un pubblico non pagante tutto attorno. Ombre che si disegnano contro la luce abbagliante del sole e sembrano fissarsi nel tempo come sul fondo dell'obbiettivo. Varco la soglia, un'altra, e tra cielo e terra si staglia un altro centro di potere dal passato. Tra numeri esatti e forme perfette.
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