31 Agosto 2013
Inizierò annotando alcuni dei compagni di viaggio che con l'occasione quest'escursione ha riunito. Per caso. Con persone interessanti, da un gruppo che arriva direttamente dagli ostelli della grande città, ed i due fratelli italiani che invece giungono qui nel pomeriggio, dopo aver macinato chilometri. Due tipi curiosi e simpatici, con cui faccio inevitabilmente amicizia, che insieme spezzano le strade in questo modo, con uno spirito per certi versi vicino al mio, ogni tanto, ricongiungendosi da nord e sud d'Italia, per passare qualche giorno insieme e lasciando dietro tutto e tutti. Procedono in direzione inversa alla mia, ad una velocità tripla. E nel gruppo, c'é qualche viaggiatore. Il più interessante é un ragazzo argentino, proveniente dal profondo della Patagonia, che vive in Costa Rica con un italiano facendo foto di matrimoni e che un bel giorno, qualche mese fa, ha deciso di fermarsi ed andare in giro per il mondo, procedendo a zig-zag. Già il luogo da dove proviene accende immagini che attendono di essere raccolte. Forse, un giorno. A zig-zag, un po' come un ragazzo coi capelli rasta dal Texas, che suona i tamburi con le guide al buio della sera, ed al tempo stesso confessa candidamente di nonsaper guidare una macchina che non abbia il cambio automatico. Racconterò di Hamid, il gigante buono che ci accompagna, nero come la pece ed il vocione calmo e profondo. Tutto di lui mi ricorda il protagonista del "Miglio verde". "Italia, Italia", ci chiama. Perché noi, io, queste persone con noi le conosco un pochino di più, avendo avuto il tempo da spendere con loro. Hamid parla della piena che alcuni anni fa ha distrutto alberghi e vite, compresa la casa di un itliano, anche lui, che lavorava qui. Poi, all'imporvviso, senza problemi e col suo vocione pacato, passa a parlare della marijuana prodotta sulle montagne del Rif, sulla sua qualità e su quanto sia tranquilla la polizia. Certo, il mio compagno di viaggio lo stuzzica un po' in questo senso, ma io sorrido pensando che magari tutta questa saggia pacatezza derivi da questo, e non solo dalle dune del deserto. Hamid reclama un'età che é comparabile alla nostra, ma non so se ci prende in giro o é serio, come serio sarebbe il segno del tempo che il vento ha scolpito prematuramente sul suo volto. "Italia, Italia", ci chiama, all'alba di un nuovo giorno.
Ho osservato con gli occhi di Dalì. All'improvviso, ho capito. Per un attimo soltanto, forse, ho creduto. Ho dipinto ombre sulla sabbia che dava spettacolo ed era una danza di linee e di colori. Mentre annoiato il dromedario avanzava masticando e distribuendo scossoni cadenzati come il tonfo sordo degli zoccoli che affondavano nella sabbia. Il sole sta scendendo, il sole sta salendo. E' così che ciò che sembra immobile cambia di continuo, ogni istante che sembra più spettacolare del precedente. Ed io faticosamente mi arrampico su una montagna di sabbia. Anche io affondo con le scarpe, mi sporgo in avanti e le caviglie scivolano all'indietro. Un passo. Un altro. E la linea che marca il confine col cielo sembra non arrivare mai, sempre un po' più in là. Così, per un attimo mi viene in mente che un anno fa, più o meno, il mio deserto era fatto di gradoni e di una muraglia infinita. E' per questo che muoverò un altro passo, ancora, in avanti. Per poter osservare come la luce del giorno si spegne, per poter camminare sul bordo tracciato da quella line come se fosse un filo sospeso nell'aria ed io potessi reggere l'illusione di ridisegnarlo a mio piacimento su una tela che il vento riporterà intatta questa notte.
Sono disteso. Davanti a me c'é il cielo come forse non l'ho mai visto. E' un'esplosione di stelle che tintillano come sonagli. Non c'é altro che questo, ed il vento arido che asciuga le labbra e spira sfiorando il terreno. Sento la sabbia correre, scorrere, senza tempo, senza spazio, le dune formarsi muoversi, cancellare le orme dei dromedari, i passi degli uomini, tutto seppellito sa uno strato nuovo, in perenne movimento. Sento, ancora, il rumore del silenzio. In mezzo al deserto, le tende chiuse ed io fuori, come se potessi prolungare la notte. Una stella cadente. Un'altra. Un'altra ancora. Su questo spartito nero. Così allora lo vedevano il cielo una volta, così lo vedono tuttora gli uomini del deserto. Per me rimane ancora un'esplosione di stelle. E come le stelle, esplodono i miei ricordi, i miei pensieri, come se tutto si scomponesse, un filo che si srotola, immagini che si dilatano, si susseguono all'infinito. Infinito, quella sensazione che ti avvolge respirando, ascoltando, stendendo a lato il braccio ad afferrando nient'altro che vento. Se deve essere così, se devo trovare il vuoto, allora. E corrono immagini sepolte in fondo al cuore, i momenti cui lì per lì magari non dai valore. E' come se su questo schermo di cui non vedo i contorni, si proiettasse tutto, senza pausa. O forse sì, perché ancora vedo le stelle. Me, con le mie amarezza, le mie gioie, i miei ricordi. Tutto quello che mi porto dietro, tutto quello che nascondo, quello che sono, tutti i miei ricordi, quelli acui mi aggrappo, quelli che mi riscaldano e quelli invece che mi uccidono. Sono tutto questo, l'evoluzione di ogni istante, così come quanto di invisibile ed innato porto con me, la mia storia, per quanto niente di speciale, e pure la storia di chi c'era prima, eppure nel tempo ha lasciato un segno anche per me. Penso alla musica silenziosa e costante, al pianoforte che tace silenzioso. Tutto, tutto potrebbe raccontare qualcosa di me, se si potesse leggere. Tutto ha fatto quello che sono, come sono, e se mai riuscissi ad accettare che le cose semplicemente arrivano, accadono, vanno così senza che ci sia un motivo definito, senza che mi debba sentire responsabile, colpevolizzarmi, angustiarmi, forse almeno potrei sfiorare un po' di serenità. Proprio questa notte...le stelle per me scriveranno una di quelle lettere che piegherò e depositerò in un cofanetto di legno che ancora non contiene un destinatario.
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