C'è tutto l'oro di Venezia, su queste tele. Non mi viene in mente un'espressione migliore quando dici 'vedutisti'. Ma non solo. Francesco Guardi non era solo questo, e le ampie vedute della Serenissima giunsero in realtà soltanto al termine della carriera. Non lo sapevo. L'oro di Venezia brillava allora diversamente. Nelle case da gioco, negli interni, nelle figure, che riempivano il quadro da protagonisti, forme definite e volti precisi. Sembrava quasi di esserci, in questi saloni illuminati con lampade ad olio, dove gli sguardi restavano nascosti dietro le maschere e tra infinite voci si concludeva ogni tipo di affare. Proiettato, in questi ambienti che riempiono l'immaginario di Venezia, anche quello più turpe, più segreto e misterioso, come quelle calli scarsamente illuminate da una luna pallida riflessa, come un adagio di Vivaldi. Le macchiette dovevano ancora arrivare, rapidi tratti di pennello che fissavano una, cento, centinaia di vite entro gli palcoscenici palcoscenici che erano una città intera. Ed in questo percorso, lungo tutta una vita, si alternavano personaggi, disegni in sanguigna su carta ingiallita sfumati dal tempo, capricci architettonici di paesaggi immaginati e testimonianza di eventi storici. Fino alle vedute, appunto, e tutta la gloria di Venezia come la immaginiamo, l'occhio "sedotto" ancora, come prima, in un'esplosione di suoni dipinti, di voci ed anime, piccole macchie soltanto. Allegro vivace. E di colore, sempre più. Allora, lo spazio si dilatava sempre più sull'acqua, il cielo e tutte le infinite variazioni di riflessi. La scena era quasi un pretesto ed il colore assurgeva protagonista.
E poi... E poi c'è un altro oro di Venezia. Quello lungo il percorso sempre simile, che inizia lungo il ponte che la collega alla terraferma e conduce fino in Piazza San Marco. Sferragliamento dei binari, riflessi sull'acqua. Ed una giornata bella, anche questa volta, quasi tiepida negli ultimi giorni dell'anno. Quante note mi piace immaginare e suonare con la mente. Pensavo che in realtà questa città non la conosca affatto, con tutte le volte che sono andato, quante cose che non abbia mai visto. Capita così, a volte con i luoghi più vicini. E' un labirinto ineguagliabile, che lungo chissà quante variazioni mi porta sempre su luoghi familiari. Allora, come ombre, mi sembra quasi di vederli, alcuni ricordi. Altri, invece, sono volti e luoghi reali, che riconosco ogni volta, su cui mi fermo ogni volta. E come il movimento dell'acqua, ondeggio, quasi, mentre le luci si fanno sfocate e le forme rimangono familiari. Un sospiro, sull'acqua, una luce tra tante, ed una nota di violino. Finchè arriva sera, e le ombre si confondono, chi ricordo e chi reale. Non fa nemmeno freddo, non c'è ressa e sì, mi perdo in questo labirinto conosciuto, e chissà se mai mi perderò in maniera diversa. Lascio che sia il mare, infranto ai miei piedi, che invada l'anima ed oscilli, lentamente, come le barche ormeggiate, le ombre riflesse, le luci sfocate.
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