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Immagine del redattoreoytis

Il suonatore di liuto


 



Mi trovo un po' in difficoltà a scrivere questo secondo post sui giorni che ho passato a Firenze. Mi trovo in difficoltà a scegliere anche le foto, indeciso se scegliere tra alcune che ho scattato io e quelle di capolavori che si trovano dentro i musei. Forse é la difficoltà di descrivere tutta l'arte che brilla, entro le sale dei musei così come in ogni angolo del centro storico. In realtà, la prima foto é una foto scattata tanti anni fa che non parla strettamente di arte e che rimane una diapositiva stampata su carta lucida. E' la foto di una persona che non c'é più, ma che rimane impressa, scattata all'interno delle Cappelle Medicee. E' un ricordo, uno di quelli che non andranno mai via. La rivedo, così, camminando dopo tanto tempo sul pavimento di marmo, con lo sguardo verso l'alto a mirarne altri, di marmi percorsi da venature colorate, così come mi vedo io nella stessa foto, davanti agli stessi colori, alle stesse pietre che sfioro ora, con occhi diversi. E' alle Cappelle Medicee che inizia in un certo senso la storia di Firenze, e del suo scrigno d'arte, attraversata da personaggi ed eventi storici che susseguendosi hanno creato, protetto e rivoltato. I Medici, certo. E l'orgoglio del Comune, la grande tradizione che si sviluppa lungo i piani del Palazzo Vecchio, la sala conciliare attorniata da figure scolpite nel marmo che emergono dal buio dell'ombra, e quelle che dall'alto si affannano nelle battaglie Comunali sul territorio toscano. Scivolo, coperto da decorazioni intriganti su sfondo bianco. Raffinatissime, sinuose, infinite variazioni: sono le grottesche, che coprono ogni superficie e non hanno soluzione di continuità. Come le pagine di un libro che tengo aperto tra le mani, le pagine patinate che hanno quel profumo dei libri nuovi quando li sfogli ed avvicini il volto per sentirne l'odore.



E poi, c'é il frate domenicano. Girolamo Savonarola. Anche lui si intreccia fortemente con un periodo artistico senza precedenti. Le predicazioni del frate rieccheggiano nelle tele, in quelle perdute e distrutte, come in quelle iniziate a mai concluse, stroncate come la vita del personaggio che le aveva ispirate. Anni tremendi e di fuoco. Letteralmente. Sembrano attutite le fiamme, al convento di San Marco, gestito allora proprio dal frate martirizzato. Nelle ultime celle ne restano umili testimonianze. Ma domenicano era anche Giovanni da Fiesole, un frate che dipinse solo per Dio, vivendo tra quelle stesse mura che, su fondamenta medievali nascoste sotto il pavimento, ne portano la testimonianza. Angelico lo chiamò già allora il Vasari e tale é rimasto, Beato lo fece la chiesa per la vita umile e fervente. Come la sua stessa pittura, estremamente emozionante nella sua delicatezza. Beato Angelico. Di angeli musicanti le figure che circondano l'abbraccio di Madre e Figlio. Umile lo stile, abbagliante l'oro, stupefacente la cura dei particolari, le punzonature sul metallo così come i tratti di colore e la gentilezza dei gesti.



Ecco, mattina presto, ed in coda. Per salire agli Uffizi. Mentre lì sugli scalini accanto al porticato iniziano ad esibire i propri strumenti pittori e caricaturisti. Il disegno, parte fondante. E poi, salgo le scale. Anche qui sono stato, molto, moltissimo tempo fa. Che, per quanto potessero essere affascinati, i miei occhi erano diversi. Scintillano d'oro, i grandi mestri italiani del Duecento e Trecento. A raccontare, ancora una volta la storia e la divisione dei Comuni sullo sfondo di una ricchezza di fronte al quale contrasta il prezioso silenzio di un crocifisso anonimo dipinto sul legno. Eppure c'é una sala, secondo me, attorno cui ruota inevitabilmente questa straordinaria galleria. Ed é la sala del Botticelli. E' in un certo senso la sala di Firenze, e dello splendore Mediceo, ma soprattutto del pensiero. Ben oltre le due tele più famose. Che questa pittura sfiora, come i veli delle vesti, impalpabili, sospese come le figure dai volti eleganti alla ricerca di una perfezione. Per quanto smisurato, quello che ci resta del passato non é che una piccola parte, una piccola frazione dei nomi e delle esistenze che si sono confrontate con un mestiere, con la storia, in questo caso con l'arte. Pochi rimangono, perché smisuratamente infinita emerge la loro arte, la loro capacità di colpire, di narrare. Credo che questo pensiero si rispecchi bene nell'ampia sala che agli Uffizi é dedicata alla parabola di Sandro Botticelli. Ecco, mi piace perdermi tra queste sale in successione, immaginare il silenzio, osservare, tra quadri e cartolina, poi, una dopo l'altra tra le mani come fossero una fedele riproduzione in miniatura da appendere. Sfilano Caravaggio, Tiziano, tutti i maestri emiliani, e pure quell'Artemisia Gentileschi che si racconta tra le pagine immaginate di un libro. Sfilano storie raccontate su ispirazione di quelle tele, di quelle immagini che in un certo senso sospirano infinitamente la propria vita. Resta da dire che alcune sale degli Uffizi non sono accessibili. Certo, alcune sono in fase di riallestimento, e per un museo importante ci può stare. Certo, é pure Pasqua - almeno immagino. Ma alcune semplicemente sono limitate da un cordone rosso per - credo - mancanza di personale o accesso non consentito ai visitatori. Ecco, a me questa cosa sembra un paradosso ed anche una certa scorrettezza, per una storia di cui non si vuole lasciar sfogliare alcuni capitoli, e per l'incapacita cronica anche in piccole cose come queste, che il nostro Paese ha di valorizzare se stesso.



Ci sono musei che non sono riuscito a vedere, in questi giorni, così come alcune cose, a partire dal salire sulla cupola del duomo o in cima al prospiciente campanile, saranno cose che terrò per un'altra prossima volta. Ma in questi giorni a Firenze c'era una mostra temporanea particolarmente enfatizzata per il suo contenuto unitario in cui si é saputo raccogliere un'estesa quantità di opere. Pontormo e Rosso Fiorentino, due nomi che si sfiorano soltanto sui libri d'arte a scuola, quando accade. Anche lì del resto, asociati sotto il comune denominatore del Manierismo. Non é un momento particolarmente semplice da leggere, per me, lo devo dire, così come é stato anche per quest'occasione. Due artisti di cui viene mostrato l'inizio comune, lo stesso maestro, le collaborazioni durante l'apprendistato. Ma che ben presto scelgono vie differenti, nella pittura così come nella vita. Sullo sfondo, gli eventi del primo Cinquecento, la Repubblica Fiorentina, l'eco del Savonarola ed il ritorno dei Medici, fino al Sacco di Roma. Sulla tela, colori vivaci e forti, fino a colpire, così come l'espressione delle forme, il richiamo ai corpi di Michelangelo e quelli, da me meno leggibili della scuola d'Oltralpe. Ma é vero, le difference emergono, e si riflettono finanche nelle committenze fiorentine, del potere per il Pontormo, rimaste sconosciute per Rosso. A me, che in realtà non riesco a rimanere entusiasmato da questi pittori e dal loro stile, non resta che osservare, cercare i dettagli e fermarmi laddove mi attirino maggiormente. Ad un certo punto, a colpirmi particolarmente é una sala dedicata al disegno: fogli ingialliti vergati di china, matita e sanguigna rivelano come entrambi questi artisti fossero innanzitutto straordinari osservatori prima e disegnatori poi. Non resta che decidere, per me stesso, su quale di questi due pittori, continuamente a confronto, ricada la mia scelta. Che infine pende per Rosso Fiorentino, il suo stile più legato alla tradizione e la sua vita girovaga. Forse, sono influenzato dalla tenerezza di un angelo che pizzica le corde di un liuto.




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