2/4 Settembre 2013
Ecco, sono di nuovo in macchina. Direzione opposta, lascio alle spalle questo luogo che ho amato e che chissà... Ora la strada si dirama, con uno svincolo a sinistra, ora affonda in un deserto di crateri e di sassi, attraversa villaggi coperti di polvere. Due fuoristrada sono sulla mia stessa strada, passano, li ripasso, passano di nuovo. Una strada che sale, verso l'Atlas, verso le montagne e le sue fenditure, verso le Gole del Todra. E' qui che ritrovo gli autisti marocchini di quei fuoristrada, scambiano con me due parole e qualche informazione come fossi uno di loro, ed una strada in comune. Ho tempo... Come pochi giorni fa, anche questo ruscello che si incunea stretto tra le gole, con le sue acque fresche e limpide, il sole a picco che brilla e le persone che vi si rinfrescano da una parte e dall'altra, con le voci che si rincorrono come un'eco, mi fa pensare ad una "vale della felicità". Ecco, allora, forse uno dei personaggi che più rimarranno a contatto con me, in questi giorni, non fosse altro per il fatto di averlo al seguito per quasi due giorni. Il suo nome é Jamil e credo che a suo modo rappresenti la sintesi di molte esperienze personali che ho vissuto in questo viaggio. Jamil non sembrerebbe certo marocchino, se non fosse ler la sciarpa colorata che disfa e ricompone come turbante sul capo: é biondo, corporatura oltre la media dei suoi connazionali, pelle abbronzata ma non intrinsecamente scura. Sicuramente é più giovane di me. Beh, Jamil lo trovo come posteggiatore all'entrata delle gole, come scalatore di sentieri, come venditore ad un chiosco. Sorride spesso, sembra orgoglioso delle tradizioni, da come parla e tamburella costantemente una musica che si porta dietro come qualcosa di innato. Jamil mi invita a proseguire oltre la gola, seguendo la strada, verso il suo paese, allacciato alla modernità da una lingua di strada asfaltata e dai cavi elettrici soltanto da una manciata d'anni, mi invita a passare la giornata e la notte dalla "familia". E' così che mi trovo seduto su cuscini sotto una tenda coperta di teli colorati, la "belle vue", a respirare l'aria di montagna e bere questo whisky berbero di cui tutti vanno pazzi, che inebria la mente come l'olfatto. Ecco, Jamil ha tre fratelli figli di due madri diverse. La sua si é separata dal padre molti anni fa, e questa é una cosa che mi sorprende. Ma anche loro vogliono sapere... quando parlano della propria famiglia, della festa delle spose berbere, dei nomadi che si spostano sui fianchi delle montagne... perché questa gente chiede della tua famiglia, della tua vita, per conoscere qualcosa di te, e quando una storia é lunga, dicono semplicemente che abbiamo tutto il tempo... Sotto questa veranda siedono insieme quattro fratelli, suonano coinvolgendo me una musica che sembra venire da un profondo ignoto, un moto selvaggio ed un'allegria naturale, accompagnati da parole urlate che sembrano liberazioni dell'anima. Anche i miei amici del deserto suonavano in questo modo. E intanto la bambina di uno dei quattro saltella attorno al tavolo, serbando una smisurata timidezza nei miei confronti. E intanto é sera, e quassu si accendono le stelle come candele, sotto la tenda fatta di stracci colorati ed una montagna di couscous preparato solo per me. Una porzione infinita, mentre cala il silenzio della notte...
Amid é il fratello di Jamil che nel frattempo mi guida e mi segue sulla montagna. Parla un po' di tutto ed un po' di tutto ha imparato ascoltando la gente che arriva fin quassu, fino alla casa declinata in albergo che tiene, perché non c'é scuola per tutti, così come non c'é lavoro per tutti, in questa zona. Ha indosso un paio di ciabatte, ma tra i sassi dei monti si destreggia senza problemi. Amid é il contrario del fratellastro: meno estroverso e più mingherlino. Sorride quando gli spiego che mi piace sempre immergere le mani nell'acqua fresca e pulita che scende da chissà dove, incanalata verso un paese, una macchia di verde nel plateau immenso di roccia rossa in cui ci troviamo. E' qualcosa che mi fa sentire vivo, mi fa sentire bene. Quest'acqu viene dall'alto, da una cascata d'acqua che sbuca improvvisa da un fianco della montagna. Tutto attorno ci sono macchie bianche di sale estratto a mano dal cuore della montagna stessa. Sembra un dono puro, come il colore accecante che viene riflesso da sole. E' questa la ricchezza di questa zona. qualcosa che si trova nascost nel cuore della terra, quello dal quale giungono picchetti cadenzati attraverso una fenditura che sprofonda ripida nel buio. Una scaletta, rubata sottratta anch'essa con lo scalpello alla roccia cruda. Anche questo é un lavoro tremendo che distrugge il fisico. Jamil é ancora con me. Con la scusa di recuperare qualcosa lasciato altrove, ridiscende la valle del Todra e con me si arrampica lungo la valle del Dades. Ma prima, per la strada, voglio visitare un palmeto dietro al quale rimangono i resti di una kasbah semi abbandonata. E' lui che mi accompagna, ed é grazie a lui che ritrovo un'altra familia, quella dell'uomo blu che il giorno precedente mi aveva salutato ed invitato a fermarmi. E' oltrepassando questo portone che di nuovo comprendo cosa rappresenti la familia. Con la "l", certo Cosa trovo dietro una porta... l'affetto per due dromedari che aspettano un turista, i legni che si stanno lavorando per chissà cosa, la mater che ha appena preparato il pane nel forno della corte e una specie di omelette berbera. Imponente, con le mani decorate dall'henna e nere del lavoro, versa dall'alto i suoi bicchieri di the e spezza il cibo e bonariamente lo distribuisce ai ragazzi della casa, ai suoi ospiti, ai bambini, all'altra donna della casa che mi interroga col suo riso genuinamente sguaiato. Un altro bicchiere di the, un altro pazzo di pane ancora tiepido... E' difficile descrivere onestamente questo paesaggio fatto di roccia nuda, aspra ed immensa, entro la quale si nascondono gemme verdi come smeraldi fatti di palme e di acqua. L'acqua é vita, ancora... di fronte alla desolata aridità che la circonda. Ci sono le dita della scimmia e la tartaruga. Ci sono spazi sterminati fatti di nulla e colmati della luce del sole che tinge di colori la roccia. E' un serpente, questa strada che sale e scende senza una regola precisa. Jamil, lui scherza, ed a me questo personaggio sfugge, a suo modo. Perché un po' so che mi fa fare quello che vuole, sfrutta la mia macchina, un po' é animato da una semplice generosità. E' questo confine impercettibile, legato anche al modo di percepire cui noi siamo abituati, che rende Jamil e la sua cultura sfuggente. Non posso considerarlo un amico, a dispetto del tempo relativamente lungo che ho condiviso con lui, ma non posso nemmeno distinguere fin dove arrivi la sua amicizia, i suoi gesti. E' con queste considerazioni che mi fermo, ai piedi delle gole del Dades, ad aspettare una notte che riveli un altro cielo stellato racchiuso da due fianchi verticali della montagna. E le stelle sembrano brillare più incerte quando l'aria fresca di montagna si incanala nella gola quasi fischiando. Ho tempo... mentre aspetto, mentre il the caldo si raffredda ed il sole scendendo divide in due la vallata con la sua ombra, delle donne risalgono lungo la strada fin su al villaggio, avvolte in un velo, seguite dai figli bambini, curve sotto un carico di fieno ed arbusti che riassumono il loro lavoro nei campi. Tutto, terribilmente lento, incredibilmente fuori dal tempo.
Quando arrivo ad Ait Benhaddou penso che Jamil ha detto di non esserci mai stato. Ce lo avrei pure portato, fin qui, se avesse voluto arrangiarsi a tornare indietro da una distanza maggiore. Le temperature sono tornate roventi, ma dentro la kasbah la percezione di caldo e freddo così come sono legate alla percezione del giorno si stravolgono. La meglio preservata, o la più ristrutturata, conserva l'eco delle ambientazioni dei film come della vera storia passata. Passato... come l'acqua di un torrente che é inaridito, così che é un deserto di pietre quello che attraverso per arrivare all'ingresso. Salire, lungo corridoi stretti, case ammassate, una stanza, una stalla, una terrazza, e poi tappeti, inchiostri dal colore dello zafferano e scalinate che girano come serpenti. Che attorno alla città fortezza c'é il deserto... e poi, un'oasi, più in là, lo stesso torrente che esala gli ultimi rigagnoli d'acqua, ed un'altra kasbah, nascosta tra le palme, é un'eco che appare come un miraggio. Silenzio, o quasi, sotto un sole abbagliante, su un campo di calcio coperto di ghiaia rossastra, due porte bucate e quanto rimane di una scarpa distrutta. Anche questo é deserto.
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