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Il punto più ad ovest


 


“[...] Qui è l'uomo che affascina, così come la sua sorte; qui l'uomo si aggrappa ai margini del continente, al principio del mare, e poichè la sua presenza si avverte in ogni pietra che la sua mano ha sollevato e in ogni zolla di terra che egli ha calpestato, l'intero litorale lungo e sottile alla fine appare come un'esperienza irripetibile.”

(R.Schneider – Portogallo. Diario di viaggio)


E' una linea... una linea retta, ma neanche troppo, a dire il vero... perchè nell'obbiettivo aperto al massimo, così come appare all'occhio umano se ci si presta caso, è leggermente incurvata ai lati... è una linea, e nemmeno reale, perchè puoi rincorrerla per miglia senza raggiungerla, un orizzonte degli eventi forzando un termine astronomico... E' la congiunzione tra cielo, azzurro abbagliante, e mare, blu intenso scintillante d'argento... nemmeno mare... oceano!! Così come non lo avevo mai visto prima... perchè questa volta so che davanti a me non c'è niente per chilometri e chilometri. E' solo una linea, eppure è qualcosa di assoluto, che in qualche modo sconvolge. L'acqua dell'oceano è fredda, gelida a volte in queste giornate di settembre. Che sia Nazarè, Figueira da Foz o vicino Setubal, poco cambia... Cristallina, limpida e... fredda!! Di quel freddo pungente che immergervi le mani o camminarci dentro anche solo fino alla caviglia, la pelle rabbrividisce e senti il sangue pulsare la vita scorrere. Per me, è una sensazione incredibile, un'ebbrezza istantanea, ogni volta. Il vento soffia prepotente dal mare e sferza le lunghe distese sabbiose... una sabbia candida, fine ma consistente, scaldata dal sole che pur non si sente sulla pelle tanto spira a tratti il vento. La faccio scorrere tra le mani e disperdere al vento, come fosse una clessidra. Ad un metro dalla riva, forse un po' di più, onde quasi improvvise si formano e prendono consistenza, si innalzano e subito si infrangono su se stesse, gorgogliando, e disperdono nell'aria il rombo dell'acqua che a tradimento arriva fin alle ginocchia. E allora, corro avanti e indietro, come un bambino, senza il coraggio di buttarmi in acqua e sfidare la violenta forza centrifuga delle onde, per il gran freddo; assaporo il gusto salino dell'oceano sospeso nell'aria, intrisa del suo verso primordiale. E rincorro I gabbiani, sulla spiaggia quasi deserta, o vicino agli scogli, cercando di farli alzare in volo verso il mare e catturarli con l'obbiettivo. Attendo il tramonto e contemplo la meraviglia di questo mondo...


Cammino la sera, su questa distesa silenziosa... le luci della piccola città, le sue voci, le sue vite, appaiono più lontane di quanto sono realmente... il rumore incessante delle onde, così vicine, eppure inghiottite nel buio, sovrasta tutto il resto. Anche le nostre orme sulla sabbia rimangono invisibili, non siamo altro che obre... scrivo sulla sabbia un nome, come pensando che il cielo stellato lo possa leggere per me, e per qualcun'altro... E' stupido, lo so, eppure è un gesto che mi trovo a ripetere in più occasioni, quasi inconsciamente...


Ma l'oceano, questo oceano, è anche scogliera a picco sul mare, pietra che ardita si tuffa verticale nell'acqua e marca il confine tra terra e mare... Nazarè e, soprattutto, Cabo da Rocha, ultimo avamposto del vecchio continente, dove due mondi opposti si incontrano... e l'emozione del tramonto, laggiù, dove sembra che il sole morente infine riesca a raggiungere e baciare quella linea tanto lontana, fittizia, illuminando imbarcazioni che sembrano alla deriva e rendndo gli uomini piccole ombre disegnate su fondi sgargianti, regalando i colori più belli al cielo, intarsiato di nuvole e le tinte più calde a quegli speroni rocciosi alti centinaia di metri. Ed al mio cuore, malgrado il vento che, insistente trasporta lontano il profumo del mare e l'eco attenuata delle acque che senza sosta sferzano la terra.




Quale voce viene sul suono delle onde che non è la voce del mare? E’ la voce di qualcuno che ci parla, ma che, se ascoltiamo, tace, proprio per esserci messi ad ascoltare. E solo se, mezzo addormentati, udiamo senza sapere che udiamo, essa ci parla della speranza verso la quale, come un bambino che dorme, dormendo sorridiamo. Sono isole fortunate, sono terre che non hanno luogo, dove il Re vive aspettando. Ma, se vi andiamo destando, tace la voce, e solo c’è il mare.

(F.Pessoa - Le isole fortunate)




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