"Apart from his music he remained a child almost throughout his life"
Se c'era una città che desideravo visitare quando ero adolescente ed avevo iniziato ad ascoltare musica classica e suonare il pianoforte, questa era Salisburgo. Superfluo dire il perché. Ci sono stato, molti anni fa. Ci sono tornato, questi giorni, quando il calendario segna l'inverno, le suggestioni del periodo di Natale ed il termometro, senza volerlo, non scende poi più di tanto. Ci sono tornato con quell'idea che ho da sempre che alcuni luoghi siano una promessa. E come una promessa, ho ricalcato strade e passaggi con occhi nuovi e cuore diverso. La musica, quella resta, sospesa nell'aria, in una sala da concerto, tra saloni storici ed in un teatro di marionette. E su tutto aleggia lo spirito del genio che ha riscritto il nome di questa piccola città adagiata sul Salzach, circondata di verde, laghi e montagne ricche di quell'oro bianco che la rese ricca e potente, dominata da una fortezza inespugnabile incastonata nella roccia, ed intrisa di un'atmosfera d'altri tempi.
Ecco, scompare. Un'ombra, lentamente, inghiottita nella nebbia. E' un mare, sì, illuminato da fari che paiono approdi lontani. Un mondo metafisico. Cammino come sul ciglio di un ponte che sovrasta la città intera, laggiù, linee di luce tra gli edifici eleganti ed il riflesso dell'acqua condensata sulle superfici. Potrebbe essere un sogno, chissà, o un'avventura, in un mondo lontano che sembra quasi proiezione dell'anima, una discesa dolce in punta di piedi laddove i rumori giungono ovattati e sembra di palpare l'aria con le mani, quando l'afferrano, prima di riaprirle e trovarle bagnate di una goccia d'acqua. Ecco, riappare. La luce, che si riflette sulla strada bagnata, ed ombre sfocate dalla pioggia si muovono su riflessi arpeggiati. La luce, che si pretende da una parte all'altra della città, sull'acqua scura e silenziosa, come dovesse muoversi con la stessa eleganza che appariene ai suoi argini. La luce, che sfonda le finestre delle taverne, vocio contnuo tra le panche e gli infissi di legno, e le pitture alle pareti. Fumo e profumo, un soffio caldo che spegne una folata di vento.
Ho abbandonato le rive del fiume. Pochi minuti, la mezzanotte, i fuochi sparati da una riva e dall'altra. Si riflettevano nell'acqua, seguivano traiettorie impreviste, o esplodevano in aria illuminando i tetti scuri ed il profilo aguzzo di un campanile o da lontano, il profilo della rocca e la fortezza impiantatavi in cima. Non fa freddo. E sulla pelle c'é ancora il calore della taverna, nel sangue il vino caldo aromatizzato. Da una piazzetta all'altra si sciolgono musiche o si danza su ciò che resta della pista di pattinaggio. Aspettando le note di un valzer, domani, tra rosso velluto e stucchi dorati. La mezzanotte é passata. E come la musica suonasse quel vazer, una coppia danza nel buio sul ciglio di un marciapiede; ombre danzanti, infatti, come fiamme di gioia.
Ci siamo svegliati per la partenza. Ed abbiamo trovato quella neve che mancava. Tra silenzio e poesia. Ed anche il freddo crescente della sera prima appare lontano. Guida, su strade pulite, linee che entrano in un paesaggio che quasi sembra incantato. Paesini, casette ed alberi coperti di bianco. Immobile o quasi. E' così che si arriva in questo luogo, quasi sospeo come un'isola misteriosa, che sia uscita da un'immagine epica, un'impressione romantica o da un racconto gotico. Silenziosa ed irraggiungibile, attraverso uno specchio che scintilla di cielo, di neve, di montagna. Quasi tornare, ad un anno di distanza, in un luogo simile, un profilo familiare, una camminata gelata. Quasi tornare, quasi per caso, laddove una finestra si é aperta tra le montagne ed il cielo ha raccolto sulla terra.
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