Ottobre 2014
Ho i colori dell'autunno. Arroccato su una città fortezza, così come lungo la strada, un sinuoso saliscendi che attraversa foreste e villaggi che da lontano sembrano essere rimasti le borgate di un castello. In effetti, non é altro che una successione di piccole fortezze, a volte abbandonate a se stesse, a volte quasi strappate alla furia lenta e distruttiva del tempo. Il tempo, certo. Immobile in un nome, Granducato di Lussemburgo, sembra scorrere lento, la sera, tra strade in pendenza, o su un parapetto silenzioso che si apre sul vuoto, e proiettato infine nel presente, con le banche, i denari invisibili e le macchine sportive che di contro si vedono ad ogni angolo. Il tempo dei cavalieri é finito, forse, nascosto come flebile fiamma altrove, nella campagna appunto, dietro qualche pietra pericolante ed un arco spezzato. Avvolta, si vede, da un fasciame di foglie colorate, sul terreno, rampicanti, o sbuffi di colore in lontananza. Ed infine perso, lungo la sponda di un ruscello, seguo un rumore. Tra gli alberi, l'acqua altrove, un punto sotto il cammino, a tratti invisibile, ed i bagliori di un sole che colma l'aria di colore. Si fondono due immagini, opposte, di ciò che si vede oltre una cnta muraria di pietra sospesa a strapiombo, ed il paesaggio attorno, immerso nelle Ardenne. Guidando, la sera, nel buio scompare e quasi ti inghiotte, almeno fino al prossimo borgo, al prossimo bagliore di vita. Di queste due immagini fuse, non so dire quanto mi piaccia. Forse un luogo di passaggio, così un fine settimana, come é, che mi sfiora ma non mi lascia irreparabilmente strabiliato. Almeno, fino a quando non mi trovo su un sentiero, foglie colorate scricchiolano rendendo soffice il passo, ed un rivolo d'acqua lontano si trasforma in una cascata.
A poca distanza dall'aeroporto si aprono degli spiazzi tra le schiere di alberi. Del resto, sembra sia l'unica incongruenza di questi luoghi, quasi uno sfregio, udire saltuariamente il rollio dei motori. Non sono spiazzi qualsiasi, e non sono qui a caso. In una mattina qualsiasi, l'erba é ancora fradicia di rugiada, forse pure dei primi ghiacci notturni. Brillano ora, le gocce d'acqua, come brillanti. O forse chissà, sono lacrime. Che questa terra é intrisa di sangue. Le Ardenne fu una delle ultime battaglie della Seconda Guerra Mondiale, di sicuro l'ultima violenta controffensiva tedesca all'avanzata alleata. Ecco, qui, ad una distanza di un chilometro, restano schierati due battaglioni, separati da un niente, uniti nella tragedia della guerra come allora erano opposti. E' una schiera disarmante di nomi, a volte nemmeno quelli, e di date, un numero di anni vissuti troppo breve per essere ragionevole. Uno, a fianco all'altro. Avvolti nel silenzio che sembra calato dall'alto su luoghi com questi. Visitare questi luoghi di memoria e di raccoglimento, in ogni luogo d'Europa che li conserva, lascia sempre impressioni simili. Il contrasto innanzitutto, scritto dalla storia, scritto da chi é venuto dopo, talmente evidente, in questa linea d'aria di poche centinaia di metri: da una parte ci sono le pietre bianche allungate ed una cura ipersensbile, dall'altra le croci d'ardesia, tozze e squadrate, in un campo che lascia percepire inconsapevolmente un senso d'abbandono. Talmente diversi, dunque, anche ora. E' una sensazione impalpabile che si nasconde nei dettagli. Anche quando la luce del mattino illumina qulle foglie cadute e lasciate sul terreno. Anche quando é la nebbia a salire dal terreno e rendere l'orizzonte un po' meno visibile. Ecco, forse sono così, ombre che ci guardano, dietro quei nomi sconosciuti che restano lì scolpiti, dietro età giovanissime, dietro infine il particolare di un fiore appoggiato ad una croce, o un sasso lasciato sopra una stella. Ribadisccono, in questa tragedia immensurabile, un epitaffio scolpito all'entrata, che i cimiteri dei soldati sono il più grande monumento alla pace.
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