19 Agosto 2012
Piove. Mi riparo sotto il porticato che costeggia gli edifici del tempio. Tra poco chiudono e sarà solo acqua. Tra le colonne passi di sandali e fruscio di una tunica. Come sono arrivato qui, un viaggio in treno, due autobus da un capolinea all'altro della città. Con lo scambio sbagliato, in una strada che per me era uno stradone, pieno di vita, via vai e strade laterali che aprivano negozi di ogni genere, cianfrusaglie e mercati all'aperto. Pieno di occhi stranieri ed una lingua che é un'opera pittorica. Immerso nella Cina più profonda, cercando un riferimento che non arriva dal finestrino, sperando di non perdermi.
In mezzo, un altro autobus, un altro capolinea ed una vallata. Sui due fianchi del fiume, la roccia é scavata e lavorata: figure giganti, figure minuscole, erose dal vento e dalla storia che a volte passa tenendo in mano agitando la clava. Sono salito e sceso da gradini che si arrampicano quasi verticali, perché ogni grotta é punto di arrivo e devozione ed il vento che arriva dal fiume sibila sui volti immobili dei Buddha e porta via con se l'odore dell'incenso.
Ed ora, in un altro tempio, un temporale che si abbatte sul tramonto ed i portoni pesanti che cigolando stanno per chiudersi al mondo. Un mondo silenzioso anche nel caos e nel suo fremere di vita che un po' é diventato familiare. Così lo immagino scorrere davanti agli occhi.
20 Agosto 2012
Si arrampica tra le montagne, il pulmino. Su strade sterrate che una pioggerellina fine nasconde in fretta alla vista dai finestrini, e chissà quanto precarie possano apparire. Non so dove scendere esattamente, non sono nemmeno tanto sicuro di essere sul bus giusto ed ogni tanto mi sento gli occhi puntati addosso, mi sembra di essermi perso nel nulla.
Spunta fuori dietro un tornante, la porta squadrata del tempio, quasi in ombra davanti alla statua di un monaco guerriero. ShaoLin. Un po' fuori dal mondo, nascosto dalle nuvole, protetto dalle montagne, come una tradizione da custodire, tra campi da esercizio la cui terra umida di pioggia e sudore é spazzata dal vento freddo, dormitori che fanno immaginare una vita spartana e foreste di pagode che ricordano i maestri del passato. Concentrazione, movimenti rapidi ed eleganza nell'aria, rigore negli occhi; ogni gesto é pesato come fosse in equilibrio con l'universo su una punta di spillo.
Ho deciso di prendere una specie di teleferica colorata, non so se sia un affare. I cavi spariscono nelle nuvole, la vista si annebbia, letteralmente e nelle gocce sospese nell'aria cammino su un sentiero tracciato nell'ombra. Ombre che si muovono, é un monaco che appare sul lastricato di fronte a me, il passo pesato, procede come un fantasma, nel silenzio della montagna. Ombre immobili che diventano chiare man mano che si avvicinano, alberi che come dita ossute spuntano dalla terra. Sospeso... come su mare di nebbia, come il viandante, oltre i gradini che si attorcigliano sull'ultimo sperone roccioso; una goccia di sudore, sì sono in cima, tra cielo, ovunque alla vista, e terra, la sento ancora sotto i miei piedi. Tutto intorno, un mare di nebbia.
21 Agosto 2012
Sono arrivato. Di fronte ad una finestra di vetro. Su trecento metri d'aria o qualcosa di più. Anche ai piedi c'é una finestra di vetro, in realtà. Ed oltre, un profilo aggrovigliato di grattacieli e luci, fisse come nel cielo che scurisce rapidamente o mobili come un lampo. E so che c'é quanto ancora nascosto tra gli edifici più alti e le strade più polverose. La Terra curva, chiaramente, in questa visione che non sa trovare un punto di fuga.
E come tutta la giornata, riavvolgo lentamente, passo per passo sotto il sole di nuovo cocente, poi come in un vortice, la bobina di un film fatto di immagini impresse, incorniciate o strappate, qualcuna magari già un po' sgualcita e con una piegatura in un angolo. Per certi punti ho scelto di ripercorrere il tragitto del primo giorno, cambiando gli orari e sapendo un po' più dove andare, quasi perdendomi con più sicurezza. So che non é la stessa cosa, so che in mezzo ci sono venti giorni, lenghi e così veloci, che un luogo non é mai lo stesso che la luce é differente. So che il nome Shanghai continua a fare un certo effetto ed evocare banche, porti franchi, quartieri malfamati e leggendari. Fisicamente, sono stravolto. Appoggio la mano su quel vetro, il palmo aperto, come una mano che si allunga a sfiorare un giocattolo. Nello stesso modo in cui stendo la mano su uno spartito, come potessi sentire la musica passarvi attraverso. Così, il vento dall'altra parte e la vita che scorre. Ultima immagine, prima di tuffarsi in metropolitana, scambiare tutte le monete per un paio di bottiglie d'acqua, e correre verso l'aeroporto.
C'é una piccola appendice a tutto questo. Che c'é anche un viaggio di ritorno. Non sono stato particolarmente fortunato con i sedili, questa volta, con un gigante inglese accanto che mi opprimeva di lato. Nel cuore della notte, ho riacceso il video e non ho trovato altro che guardare un film che non mi sarei aspettato. Uno di quei film che, come ho letto da qualche parte in questi giorni inizi con una risata e finisci con un sorriso. A dire che "andrà tutto bene alla fine e se non andasse tutto bene vuol dire che non è ancora la fine", chissà se qualche volta non sia così. Il titolo del film é Marigold Hotel e, in una notte che non passava mai, mi é piaciuto e mi ha strappato un sorriso.
Comments