Lo chiamano "il Monte Athos dei Balcani". Questo luogo avvolto nella foresta, il cui silenzio é interrotto soltanto da strette strade curvilinee e piccoli villaggi fatti di una manciata di case che infondono la sensazione di essere arretrati di un secolo. Ci arrivo lungo quella stessa strada in una mattina di pioggia, che trasforma le vie in ruscelli ed il terreno in una melma di fango, a tratti scomparendo nella foresta, a tratti arrampicandomi a zigzag. Il Monte Athos dei Balcani é oltre una cortina invisibile, ancora più nascosta tra gli angoli di una foresta che sembra essa stessa parlare un linguaggio antico, fisicamente oltre un villaggio, al termine ultimo di una strada che, semplicemente, si spegne. Quella cortina é, nella mente e nell'anima, un portone aperto come una breccia tra le mura, là dove un sentiero sprofonda nel silenzio, nella contemplazione dell'anima e nei suoi misteri più profondi, disichiusi soltanto e chi ha affrontato il coraggio, l'invisibile sensazione di un credo, l'inspiegabile del cuore e la scelta infine di vivere così, lontano da tutto ciò che appartiene a questo tempo e a questo spazio. Cercando di intravedere queste figure nascoste, sfioro i petali bagnati di un fiore, il sapore intenso di una spezia, il silenzio sovrano. Ed appoggio la mano ad un altro portone, fisico ed incastrato tra la pietra levigata a forma di croce. Un'ultima soglia, dove la luce per un attimo si spegne, tanto quanto basta all'occhio per riappropriarsi della vista, e seguire un cono luminoso, o lo scintillare tremolante di candele sottili come fili impiantate nella sabbia. E così, lentamente, si schiude l'oro, si mostrano le figure immobili e frontali, lontane ed ultraterrene, ed immagini su immagini che popolano i muri bassi e massicci, le volte inghiottite nell'oscurità, e quel silenzio profondo che fa precipitare in quel mondo di paure, speranze e certezze della fede.
C'é questo luogo lungo la piana attraversata dal fiume, che oltre il profilo tenebroso delle industrie per l'estrazione di carbone, viaggia a ritroso nella storia, fino al passaggio delle legioni romane ed il commercio lungo la via che apriva ad oriente. Con il suo nome complicato, le porte di legno che si sovrappongono alle rovine scavate e semisommerse, e la pianura che un tempo era il letto del fiume, questa città nascosta si presenta avvolta nel silenzio di un tramonto vicino e di un vento che spira tra i giunchi. Quasi solo, scendo nel terreno, attraverso una porta che sprofonda nell'oscurità, come a marcare il passaggio verso il mondo dell'ignoto, e della paura. Seguo il cunicolo sfiorando la pietra con le dita, lasciandomi guidare da una luce fioca che é tutto quanto mi tiene aggrappato il mio mondo. Alito di vento soffiato dalla terra. Immaginazione. Ed una dopo l'altra, entrate verso piccole camere laterali che revelano i colori depositati allora da esseri come me, con le mie stesse paure, con le mie stesse emozioni, portando con se un tratto di mondo, cosi come lo vedevano e lo amavano. In quei colori nascosti ho avvertito l'emozione di un linguaggio universale che attraversava il tempo e che più di ogni altra testimonianza abbandonata in questa piana silenziosa rendeva quegli uomini da libro di storia forse partiti dall'Italia, chisà, verso i Balcani, ancora vivi e così, semplicemente, umani.
"L'oblio cura ogni male, e il canto è il modo migliore per dimenticare, poiché, quando canta, l'uomo ricorda solo quel che gli piace."
Abbarbicato sulla roccia, osserva il suo gemello quasi scomparso dall'altra parte della riva. Là dove il fiume sembra diventare quasi un lago, silenzioso e senza ostacoli. Un passo, aggrappandomi con le mani. Un altro, dove il gradino scolpito é talmente stretto da parmettere un solo appoggio. Fuse con la roccia che le sostiene si ergono torri, torrioni e spezzoni di mura. Labirinto che sale verso il cielo. Un altro passo per raggiungere il amstio più alto, e dall'alto dominare il Danubio, il passaggio tra le rocce ed il lungo percorso che si snoda verso sud, sempre più angusto, sempre più feroce, un Paese su una sponda, un altro Paese sulla sponda opposta. Andiamo alla ricerca delle Porte di Ferro, lungo una strada intagliata nella roccia, un po' come quel castello che ci ha consentito il passaggio, un po' come i villaggi strappati alla montagna e salvati dal fiume. Silenzioso e rapido, insidioso in fondo a quello strapiombo che mi accompagna, dove la forza dell'acqua ha creato una linea sinuosa. The Iron Gate, le Porte di Ferro, sono al termine di questa strada di che non riuscirò a completare per un centinaio di chilometri, nome epico e glorioso di un luogo che rimane misterioso e perduto nell'anima, da qualche parte, dove non posso vederlo.
"E così, tra il cielo il fiume e le montagne, una generazione dopo l'altra imparava a non compiangere troppo ciò che la torbida acqua si portava via; ché la vita è un miracolo impenetrabile perché si fa e disfà incessantemente, eppure dura e sta salda, come il Ponte sulla Drina."
Ho terminato questa manciata di giorni puntando a quello stesso luogo che era stato punto di partenza. Affacciato, nuovamente sulla sponda di un fiume che ha segnato, e segna, l'Europa, mi rendo conto che in qualche modo spostandomi tra nord ed est seguendone il corso, ne ho inseguito in qualche modo il carattere. Belgrado é una città che immagino non visiterei immediatamente di proposito, su una linea di confine dove l'Europa guarda a sud, verso il mondo arabo, e ad oriente, lungo l'ossatura balcanica. Le pieghe dolorose della storia, forse, almeno quelle più recenti, sembreranno un ricordo difficile da scorgere, uno dei tanti capitoli che fondono insieme quella sensazione che in qualche modo un confine sia vicino, a portata di mano, ma allo stesso tempo nascosto ed impalpabile. Nella ricerca di una nuova sofisticatezza, e nel valore della tradizione, si tratti della luce dorata della fede o delle pietre massicce della fortezza, qualcosa scorre verso un cambiamento rapido e forse un po' brusco. Quel fiume che penetra nel cuore dell'Europa, naviga silenzioso e nuovamente enorme di fronte alla città vecchia, ancora più silente nell'oscurità della notte, interrotta da luci lontane di club, sulla riva opposta, e voci indistinguibili che si diffondono dai ristoranti un po' più appariscenti su questa riva, quel fiume che attinge a monasteri sperduti, fortezze che dovevano essere inespugnabili, e paludi nei quali rimasero intrappolati fino ad oggi resti di animali preistorici, ne é un po' l'emblema. E così, rifiatando un'ultima sera, penso nuovamente alle Porte di Ferro, alla montagna sacra, ai villaggi incastrati lungo un confine segnato dall'acqua. E mi rendo conto di non aver avuto abbastanza tempo, abbastanza respiri, da assaporare.
"Le lunazioni si susseguivano e le generazioni sparivano rapidamente, ma il ponte restava, immutabile, come l’acqua che scorreva sotto le sue arcate."
(Ivo Andric)
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