Ho varcato una porta, ho diretto gli occhi attraverso una finestra. Ma già mi chiedo se sia davvero reale - una porta vera, una finestra vera - questo mondo, questi mondi che si fondono, si trasformano, scompaiono in un'ombra per riapparire ogni volta in qualcosa di diverso. Connessioni impossibili che ora, di fronte agli occhi, si svelano semplici in maniera disarmante. Ma é davvero così? No, forse é un inganno, l'ennesimo, della mia mente, guidata ad arte da una mano geniale che esplode le dimensioni, le moltiplica in declinazioni impossibili. Ecco, il mio sguardo risulta deformato nel riflesso di una palla di cristallo che non svela il futuro, ma le infinite connessioni della mente, come queste si proiettino nello spazio, quello vero e quello fasullo, il significato delle forme più improbabili come non avrei saputo vederle. Dopo tanto tempo sono tornato al museo dedicato ad Escher. C'era qualcosa di diverso, ed allo steso tempo di continuo, nella mia percezione di quest'arte declinata tutto sommato in una voce tutta particolare. Questo forse ho potuto osservare meglio, con un occhio diverso. Lo stesso, invece, rimane lo stupore e l'ammirazione, di fronte ai disegni, di fronte alle evoluzioni, che declinano disegno, matematica e fantasia.
Eternità ed Infinito. Sono queste le due parole chiave dell'opera di Escher, forse dell'occhio stesso con qui esplorava il mondo. Un matematico inconsapevole. Tanto da diventare ispirazione e confronto con la stessa comunità dei numeri. Perché i disegni di Escher sono intrisi di matematica, nella sua forma più affascinante, l'infinito appunto, visualizzato. Un prestigiatore continuo, dunque, che fondeva gli oggetti come fossero il suo mazzo di carte, che inventava piani sempre nuovi e sfruttava ogni debolezza dell'occhio umano per guidarlo nei sui numeri. Eternità ed Infinito sono i concetti che l'uomo artista, l'uomo inventore scava nel profondo, come ricerca personale e come espressione di se stesso. Si guarda egli stesso allo specchio, non uno qualunque, ma quello sferico di una palla o dell'iride di un occhio, si muove tra colonnati senza base né capitello, percorre scale spiraleggianti, senza inizio né fine, come il corso di un'acqua che sembra deridere la gravità. Oppure, infine esausto, siede come un'ombra nascosta in un angolo di quello stesso spazio cui ha dato vita, incredulo e sconfitto da quel mondo impossibile che ha saputo creare ma non comprendere.
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