“...May the road rise up to meet you. May the wind be always at your back. May the sun shine warm upon your face. May the rain fall soft upon your field. And until we meet again, may God hold you in the palm of His hand...”
La prima cosa che ho visto é stata la spiaggia. Una lunga distesa di sabbia, protesa dove il mare era scomparso ed ognuno di prima mattina passeggiava col proprio cane. La prima cosa che ho sentito é stato il vento: sibilante e gelido spazzava il lungomare, striava il cielo, e mi accoglieva a queste latitudini, in attesa del nuovo anno. Ho sorriso pensando che proprio un anno fa, questi giorni, scendevo verso il mare, un altro mare, ad osservare onde basse che si spegnevano su una spiaggia protesa nella bassa marea. Mare del Nord, gelido come i colori che lo accompagnano, tonalità di blu senza fuoco nell'anima, eppure affascinante, nelle sue maree che liberano metri e metri di spiaggia, un silenzio infinito tanto é lo spazio che le acque lasciano dietro di sé, un deserto di sabbia bagnata, vento gelido, ed onde smorzate in lontananza, su una linea di ultima difesa, prima che ricomincino a guadagnare quel desert che appartiene loro.
Non so chi o cosa fosse un highlander. So solo che il nome suona eroico ed indomito nel pronunciarlo. Così come leggendario é questo luogo verso cui mi arrampico, spalle ad un altra roccia, ancora più alta, il Trono di Artù, ed una rupe da conquistare davanti a me, per poter dominare con lo sguardo la città. In salita, contro il vento che non ti lascia in piedi, selvaggio, piega in un'onda continua l'erba lucida di pioggia, e nubi dense che si assembrano da nord. Uno sguardo al mare, che mi segue e scompare, da un lato. Ancora un passaggio per arrampicarmi, lungo una salita che nuovamente si allunga, oltre un dosso che sembrava essere punto d'arrivo ed altro non é che una nuova rampa verso l'alto, verso una cima che scompare nel vuoto, ed un cielo cupo di tempesta. Ed allora, non so chi o cosa fosse, ma nel vento sento la carica della forza che esercita contro di me, ed una musica risuona, sia un canto di battaglia, una danza o uno scioglilingua di note, sento l'entusiasmo di dover salire fino al bordo del precipizio ed osservare, prima il baratro sotto di me, dominarlo in un volo vertiginoso e senza paura, e poi guardare oltre, lontano, il paesaggio scozzese che si perde in una serie di linee sovrapposte, linee di nubi e cieli sereni, sovrapposte una sull'altra come una successione dei tempi quasi in lotta tra loro, e magari anche una fiammata sfuggevole al tramonto ed un riflesso verso l'ombra cupa del castello, come troneggia sopra la città, i tetti di un altro tempo e le vie che spariscono in un labirinto di case ed edifici. Così come non li avevo ancora visti, ancora, da questo spuntone che la leggenda ha assegnato ad un re, e che mi porta ai confini del mondo.
Intrigante. Credo sia l'aggettivo giusto per descrivere questa città che per tanto tempo é rimasta nei miei sogni, nella mia fantasia, come dalla fantasia di un racconto fosse nata. Intrigante, per tutte le vie che diventano stradine a perdersi, tra salite e discese, nella città vecchia, trasportato da chissà quale leggenda, ombre della Storia o fatti lontani che riprendono vita da voci silenziose e sotterranee, che hanno attraversato i secoli, popolando come fantasmi questi vicoli silenziosi. Ed allora, allontanandomi dalle luci dei pub, seguendo le scintille di un mercatino di Natale, l'ombra sempre presente di un castello, o il suono di una cornamusa, ho continuato a domandarmi se tutto fosse reale, affascinante bellezza, o frutto di qualche incantesimo arcano che rendesse sottile fino a che fosse trasparente quel confine tra realtà ed immaginazione, dove qualche racconto del passato, vero o no che fosse, prendeva forma, mi conduceva nuovamente in un labirinto di luci e di ombre, di ciottoli bagnati dalla pioggia e dai riflessi indecifrabili che questa lasciava dietro come indizi da collezionare per poter continuare il viaggio.
Sono tornato ad arrampicarmi sul fianco di quella collina. Mentre sotto di me migliaia di fiamme componevano un disegno nella notte. Sono partite dal centro della città attraversando tutto il Golden Mile, una processione infinita e festosa di torce accese nella notte, processione sospesa tra un rito pagano ed una celebrazione anticipata del nuovo anno, in lontananza era una marea di fuoco che lentamente si avvicinava, tra rimbombi di tamburo, giocolieri e suoni di cornamuse. Pareva un'ondata trasbordante che dalle highlands si materializzava dal cuore stesso della città. O forse erano una visione, una lunga scia di luci che attraversava una foresta nell'oscurità, in una delle notte più fredde dell'anno, riflessa su uno specchio d'acqua e fluttuante nell'ombra. Cerco di procedere, al buio, per poter osservare questo rito nella sua conclusione. Per quanto fiemmelle tremolanti arriveranno ancora ed ancora per molto tempo, in basso una figura sinuosa inizia a prendere forma. Nella forza della partecipazione, di questa marea di ogni età ed ogni provenienza, c'é l'abbraccio della città al mondo, luogo straordinariamente internazionale ed aperto, a queste latitudini, che come gridato all'inizio, da il benvenuto a chiunque giunga alle porte ed abbia la volontà di fermarsi.
Sono salito attraverso il portone principale. Alla ricerca di una corona, una spada nascosta per oltre un secolo, una torre di guardia dove si consumò una tetra cena, una cappella di pietra spoglia, delle prigioni che hanno accolto sventurati di mezzo mondo. E tutto intorno scorrevano episodi, lotte silenziose e complotti nascosti, tutti attorno al potere per questo lembo di terra a nord di un valico secoli e secoli prima. Molto della storia di Scozia é passato di qua, attraverso - o contro - queste mura possenti, dalle storie di singoli personaggi alle rivendicazioni di intere fazioni. Il castello continua a dominare la città di Edimburgo, impassibile al tempo, alle guerre di potere e di libertà, un'ombra scura ed opprimente, a tratti, come la descriveva una penna fine, una presenza costante, che dall'alto squadrava il suo popolo tra minaccia e protezione. Sono salito seguendo un sentiero a tratti ghiacciato. E di nuovo mi sono trovato di fronte quella sagoma, inconfondibile, e le case di un altro tempo ai suoi piedi. Potere ed orgoglio condensati in quella linea frammentata di difesa e controllo. Ho voltato lo sguardo, verso il mare. Tra questi due estremi, ho continuato ad assaporare il fascino di questa città, con la sua storia e le sue profonde tradizioni. E poi girato ancora verso il Trono di Artù, quello sperone su cui mi sono affacciato il primo giorno. Ognuno di questi punti sopraelevati sembra avere un carattere a sé. Ancora una volta, quasi tendo ad ascoltare il vento costante e chissà quali suoni di cornamusa, un canto malinconico, una marcia inarrestabile, uno spiraglio che fende una coltre spessa di nebbia. Idealmente, a guidare gli occhi, ancora una volta, prima di abbandonare la posizione.
Nella ressa, in quello che doveva essere una specie di gigantesco calderone di musica, palchi e festeggiamenti, ho cercato di vedere il castello, nella sua ombra più scura e silenziosa, da seguire con gli occhi. Aspettando che un arsenale di fuochi illuminasse la notte, e che il respiro di quella gigante kermesse lungo le strade del centro rimanesse sospeso un attimo in attesa, e suonasse infine un rintocco. Fuochi dal castello, e quell'ombra che ad un certo punto scompare, nascosta da una coltre di fumo. Per poi riprendere da dove si era fermato.
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