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Il Festival del Dragone e la Città della Fenice


 


30 Maggio 2017 “La partenza adesso è arrivata; Ma le note dalle corde del qin e del se si fanno malinconiche. La bella si comporta con molto disappunto: Sono di nuovo tristi le sue lunghe ciglia.”

(He Xun)



Sono leggende quelle che risalgono queste acque, gli argini, le mura, i ponti arcuati che si perdono nella foschia in lontananza. Un poeta, un drago, un traghettatore e la figlia, selciati scritti nel fiume e palafitte sospese sull’acqua. Ancora una volta, non so se entrare consapevolmente nella realtà, in bilico su un limite troppo bello, lontano ed affascinante, per essere in grado di considerarlo vero. Perché il tempo, innanzitutto, sembra un’altra dimensione, fermo ad un ticchettio che rallenta, eternamente immobile, come se stessi leggendo un racconto, nelle persone, nelle strade che mi sommergono di vita e di silenzi, di sensazioni e di passi, nelle mura, alte e spazzate dal vento, quando si leva, sotto un cielo che rimane grigio e si perde sui fianchi delle montagne circostanti, nei legni portanti che affondano nelle acque verdi e pastose, quasi miracolosamente sostenendo una città come arriva sul fiume, quasi a volerlo conquistare da ogni lato, e legarlo con ponti dai profili arcuati e passaggi che sono passi affioranti sull’acqua. Per poi perdersi nell’ombra di un’imbarcazione che scompare, a valle, inghiottito dalla nebbia sospesa a filo dell’orizzonte.



“Una legenda fa risalire la festa ad un episodio legato alla nobiltà d’animo del poeta Qu Yuan. Si tramanda che dopo l’occupazione della regione di Chu da parte dei nemici, il poeta in segno di ribellione e indignazione decise di suicidarsi nel Fiume Miluno. Gli abitanti del villaggio portarono allora le loro barche al centro del fiume e tentarono disperatamente di salvarlo, ma non ebbero successo. Per tenere i pesci e gli spiriti maligni lontani dal suo corpo, fecero rumore battendo i tamburi e percuotendo l'acqua con i remi. Una notte a tarda ora, lo spirito di Qu Yuan apparve davanti ai suoi amici e disse loro di essere morto a causa di un drago di fiume, e chiese quindi di avvolgere il loro riso in fagotti di seta con tre angoli per allontanare il drago…”



Così sono nate le imbarcazioni a forma di drago. Colpo su colpo, di remi nell’acqua,: è una competizione che sembra non terminare mai, e le cui regole, ad un certo punto mi sfuggono. Non è molto importante. Poche centinaia di metri, percorse tutte d’un fiato, inghiottito nelle urla della gente, sulle sponde, nei suoni di tamburi e sonagli, nel ritmo persistente impresso dai timonieri, si fondono in una marea umana, affacciata sul palcoscenico, colma di quei suoi piccoli dettagli  che sono ogni gesto di normalità, l’attenzione costante per il cibo, gli zongzi che compaiono ovunque, un frammento di stoffa colorata che ondeggia nel vento, ed il viso a tratti assonnato di un bambino.


“…Time rolls ever forward without a pause, The seasons cycle through spring and autumn. As I watch the green fade all around me, I fear the setting of my youth. …”

(Qu Yuan)



Forte risuona quella sensazione che mi faceva parlare di strada, anni fa, ogni attimo vissuto al riflesso del selciato. Sono bastati pochi passi ed una svolta, al primo vicolo. Cammino parallelo all’acqua, ritrovandomi in un nuovo labirinto di lanterne rosse, attività di ogni tipo che lambiscono la strada come le rive di un fiume, ed ondate di suoni e sapori che ritornano, scompaiono, riaffiorano. Come delle parole scritte su inchiostro, lo immagino, dietro una porta di legno, sospinte da una folata fresca di vento, lontano dal frastuono di ogni giorno, voci e rumori, versi e riflessioni abbandonate ad una nota, una corda che vibra o forse magari ad un nuovo sospiro dell’aria.



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