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Immagine del redattoreoytis

La Montagna Gialla


 

4 Agosto 2012


La sveglia é mattino presto. E ancora non ho dormito molto, sarà il giro di lancette dell'orologio, saranno tutte le cose davanti, immaginate soltanto. Le strade si stanno già popolando di gente, la giornata si anima di vita presto qui, complici la temperatura, la luce, lo stile di vita, ed i banchetti sospesi tra battistrada e marciapiede già fumano cibo cotto ed olio bollente.

Tragitto in bus, ed un po' di stanchezza, fino a Huangshan, la Montagna Gialla. Sì, una montagna di granito che é la vera ragione che mi ha spinto fin qui ed é un po' la sintesi di un viaggio intero. Ho deciso che questo sarà una specie di deserto, il mio deserto. Fatto di gradini che implacabili si arrampicano sul fianco della montagna e svaniscono tra nuvole e felci smeraldo. Sarà un deserto, ma non per questo sarò solo...

"Follow us". Il bus si é fermato, ed ho riaperto gli occhi, e tra tanti ideogrammi sono un po' spaesato. Inizia così la scalata, un gruppo di ragazzi e due parole spiaccicate in inglese che mi evitano di perdermi. Un passo, un altro passo, i gradini tolgono il fiato ed inondano la fronte di sudore. Ed ai lati si aprono a poco a poco gole e spuntoni di roccia, sempra nascosti, come attutiti in paffuti grumi di nuvole bianche, attraverso una luce che ha ispirato dipinti, scritti e poesie.



Fin dall'inizio dell'ascesa, ha un che di mostruoso quello che vedo. Uomini a schiena scoperta caricano di traverso sulle spalle un giunco scvato di legno ai cui estremi penzolano sacchi enormi, carichi di bottiglie e qualsiasi altro peso che possa essere associato ad una vottovaglia. Come le staffette andine, in quelle foto in bianco e nero. I pesi oscillano vertiginosamente, le schiene sono madide di sudore. Un supplizio impressionente, varrà meno del prezzo che impongono all'entrata, che dura pochi gradini, prima che un bastone verticale si impianti nel terreno e conceda una pausa. Questi uomini minuti dalla forza straordinaria si arrampicano così, sulla montagna, tra cerchi di nuvole e passi impietosi. Implacabili, passano uno strofinaccio sulla fronte, sulla schiena e le spalle oppresse, un sorso dalla sola borraccia di the, e poi si caricano nuovamente, per un'altra decina di gradini.  Ogni giorno.



Immergo le mani nell'acqua fredda, raccolta in una vasca scavata nella roccia. Dono della montagna. E chissà quanto vorrei bere. Immergo le braccia, come a voler sentire la vita, attraverso le mani, quasi per un attimo a perderne un po' di sensibilità, e la fronte che per un attimo non sembra scoppiare. Ascolta, il silenzio della montagna, i passi di che segue e di chi precede, gli aliti di vento e la foschia che arriva, mi avvolge impalpabile. Prima di sbucare fuori da qualche parte, sospeso tra un mare di nebbia e le nuvole, uno sperone di granito che mi sostiene su una vertigine fatta d'azzurro, i profili delle montagne attorno che si perdono nell'orizzonte, e le pareti lavorate dal vento.

Così, come prima, come poi, ritrovo i miei amici, un saluto nuovo come un abbraccio, sorrisi e magari un altro paio di parole spiaccicate in inglese e qualche foto, tra le pose più disparate. Compagni d'impresa, se così vogliamo immaginarla. Come altre persone che sono sulla strada di pietra, passaggi ristretti e gradini, beduini del deserto, del mio deserto, che animano la via e la rendono indimenticabile. Incuriosite, a gesti mostrano la fatica in comune, mi guidano lo sguardo sul paesaggio, mostrano un punto particolare e chiedono qualcosa di me, tra gesti e sorrisi. Ognuno impresso, a modo suo.



Credo che potrei scrivere di ogni gradino. Parole vergate su un quadernetto di viaggio, che l'inchiostro sulle pagine sarebbe macchiato di gocce di sudore. Sono salito con la mente e con il cuore. Ma come in un libro, ad un certo punto é giusto svelare il finale... Una volta arrivato alla stazione in cima, punto di arrivo della funivia, la montagna era invasa di gruppi di turisti che la violavano con altoparlanti ed urla, tanto che il passaggio sui monti, stretto e sempre ripido, a tratti era bloccato. Il posto dove passare la notte era lontano ed l'incertezza del tempo, che aveva reso la salita fattibile, prometteva di rendere inutile la notte all'addiaccio. Ad un certo punto ho deciso di scendere e salvare il giorno seguente per altro. I miei amici cinesi erano già discesi in funivia, altri persi di vista. Due volti stranieri, in tutto, tra due ragazze australiane che avevano appena percorso la transiberiana partendo da Delft ed una tedesca che era coinvolta in uno progetto di volontariato ed aveva una semplicità che mi ha conquistato da uno sguardo. Sono sceso. Dallo stesso sentiero, perché quello più semplice partiva da un punto non raggiungibile. E non é stato molto più semplice, con le gambe che ad un certo punto tremavano. Ho rivisto gli stessi punti, come in una pellicola che si riavvolgeva: la fontana, il ponte di pietra, lo sperone sospeso nel nulla. Sono rientrato, e appoggiato su un letto infine sono crollato.



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