7/10 Settembre 2013
Mi calma. Semplicemente, é così, quando arrivo al mare, quando raggiungo l'oceano. Estremo occidentale, dunque. Davanti, un mondo indefinito riassunto in una linea orizzontale che brilla "di sole e d'azzurro"; dietro, tanti chilometri, un po' di pressione, a volte anche qualcosa di più, ed una parte del viaggio in un certo senso conclusa. Mi calma. Come se spalancasse le porte dell'anima, l'accarezzasse, le dicesse una volta di piu "tu non avere paura". Ed in un ceto senso, ci sono arrivato. Così come arrivo, la sera, in una spiaggia che si svuota ancora di più, una lingua di terra racchiusa dalle scogliere, alle spalle, di una roccia striata di rosso, ed archi naturali che balzano sopra la testa e finiscono in mare. L'acqua dell'oceano é fredda, di quel freddo che scuote il corpo, ti fa sentire vivo, e si rovescia sulla spiaggia ruggendo di continuo attraverso montagne d'acqua. Resterò qui, sì, aspettando il tramonto, quando l'acqua si ritira e l'oceano di colpo cede metri e metri di terreno. Impressionante. Allora, sugli scogli saliranno pescatori e forse chissà quanlche sognatore. Ed il suo profilo si perderà dietro un sole che scendendo tinge il cielo e la terra come fossero un'unica tela indistinta. E fino alle rocce salirà un'aria densa d'acqua, le avvolgerà con quella sua nebbiolina spessa ed impalpabile, come fosssero cime di montagne avvolte dalle nuvole. Solo le onde, sempre più lontane, rammenteranno che questo é un altro luogo. E qualcuno ancora attraverserà quegli archi di pietra, giocherà con questo luogo che entra nell'anima. Fino a quando sarà notte, e si spegneranno le ultime luci di due case lasciate sul mare. Oceano, mare, sempre più lontano, gorgoglia... E disteso sulla terrazza, cullato da quel suono, guarderò il cielo pieno di stelle che, come in un deserto, esploderanno sopra di me e dentro il mio cuore, i miei ricordi, i miei pensieri.
Sono alla "Suerte Loca". Credo non potrebbe esserci nome migliore per questo angolo di mondo che era enclave spagnola e conserva ancora qualcosa che parla d'Europa. Anche se basta risalire oltre gli edifici coloniali e perdersi nel souq, o attorno al mercato del pesce, per ricordarsi che é al tempo stesso anche Africa. Eppure Sidi Ifni rimane un luogo a sé, un luogo che arrivato, mi sento un po' più vicino alle mie radici. E' così, negli edifici come nelle strade, é così nei volti, nella presenza di qualche viaggiatore e nella lingua, é così nei nomi che sono ancora infissi agli angoli delle strade. E' un mondo che sembra un'istantanea congelata di un tempo perduto. Eppure qualcosa che si muove c'é, come testimoniano i volti di chi ha protestato durante quelle ultime propaggini di Primavera Araba che sono giunte sin qui ed é ancora trattenuto nelle carceri. La "Suerte Loca", col suo edificio della capitaneria affiancato a forma di nave, é uno di quei posti un po' strani dove senti di poter riposare. E la sera, mentre sale la brezza dal mare, nero, sotto di me, mentre un marocchino dal volto europeo passa con un colpo di spugna i tavoli vuoti, sistema una sedia, sposta un oggetto, alla radio trasmettono le note del Bolero di Ravel come non lo avevo mai sentito, sotto una voce africana che canta versi per me incomprensibili. Credo non avrei potuto immaginare una musica più adatta, questa sera. Mentre sfoglio pagine di una guida, pagine di quanto ho visto e vorrei vedere, e pagine infine del mio animo. Tra malinconia e dolcezza, come salgono ripetitive le note del Bolero.
Cammino su un mare che non é mare. Ritirato, la mattina, dietro una bassa marea. Il passaggio é aperto, verso nord, verso quella spiaggia da sogno dove mi trovavo il giorno prima. Costeggiando scogliere che sopra la mia testa calano a picco verso il mare, oltrepassando arcate di roccia ed aggirando scogli come montagne. Che ad osservarli, tutti quanti, sembra ancora di immaginarlo, il fragore delle onde che vi si infrange. La gente scende e risale, qualche anima ogni tanto, con il pesce in mano. Oppure, semplicemente, cammina. Il passaggio é aperto. Sotto un sole che fa presto a salire, a spazzare ogni nuvola ed ogni ombra. Ma non l'odore del mare, il sapore di questo oceano mare ch entra nei polmoni, che sfiora le labbra. "Amigo, amigo!!". Nascosto sotto un impermeabile fradicio, quest'uomo zampetta sugli scogli lasciati viscidi del mare con fare divertito ed energico. Urla, quando parla, che ha nelle orecchie il boato continuo delle onde che si infrangono sugli scogli. Quest'uomo, negli occhi strizzati dietro una coltre di stanchezza ed una dura attesa, porta dentro il mare. Ha il volto tirato, dal tempo che vi ha scritto impietoso la propria storia, e dalla veglia della notte. "...acqua di mare, quest'uomo dipinge il mare con il mare...". Sì, questo é quello che mi fa venire in mente. Mentre urla contro un mare che per la notte lo ha assordato, mentre mostra con allegria il polipo che tiene tra le mani, mentre mi parla in spagnolo, mi chiede, mi racconta, mentre mi rassicura della bassa marea misurando il sole, a me questa persona fa venire in mente un pittore perduto tra le pagine di un libro. "Tu nombre?" "Mostafa".
La strada sparisce, semplicemente. Ingoiata nella sabbia. Dopo chilometri e chilometri in linea retta che saliva e scendeva accarezzando il profilo delle dune. La strada sparisce, come sparisce il deserto: evapora in una lingua di sabbia bianca e si tuffa nel mare. E' come una guerra silenziosa tra giganti che non si vedono ma di cui percepisci l'infinita grandezza. Ma soprattutto, la strada finisce senza che lo sapessi, e credo tutto sommato sia meglio così, che altrimenti avrei tralasciato questa tappa. E' così che su una baracca impuntata sul promontorio, é seduto pigramente un uomo. Si chiama, manco a dirlo Mohammed, ed in realtà é un poliziotto in servizio. A guardia del nulla, un paese che esiste solo per il fatto di avere un nome, un paio di edifici che ad attraversarlo sembrano abbandonati. Questo luogo sembra terra di nessuno. E lui, Mohammed, viene dalla stessa città da cui arrivo io, laddove inizia questa strada che sparisce nel nulla, presta servizio per tre setimane di fila prima di tornare ad abbracciare la moglie e la bambina di dieci anni che vivono là. 65 chilometri che lui percorre con una motoretta che giace impolverata appoggiata ad un muro. Mohammed insiste per offrirmi del the e, mentre lo versa e lo riversa da un bicchiere all'altro come un gioco di prestigio, erca di imparare da me qualche parola d'inglese. Mi offre di tutto, in quel tutto che é niente che é la sua abitazione, una stanzetta vuota chiusa entro mura grezze, due mensole, un fornelletto da campo e qualche cosa da mangiare che sembra razionato. Prima di scendere verso la spiaggia cerco di fargli capire che scriverò di lui, dei suoi quarantun'anni, della sua bambina che vede una volta al mese e dei suoi tre bicchieri di the, opachi, girati per aria come se stesse preparando il più richiesto dei cocktails. La strada sparisce in un tratto di costa chiamato Plage Blanche, un'unica immensa distesa di spiaggia che si fonde all'orizzonte, che si guardi a nord o a sud. I miei passi affondano sui crinali di dune che scendono verso il mare. I miei passi affondano in un pantano che é la foce prosciugata di un fiume del deserto che si ricongiunge col mare e sul quale si appoggiano leggeri stormi di uccelli migratori. I miei passi... i miei passi sono su una spiaggia che sembra non finire, dietro ad alcune tende di pescatori seminomadi, e si perdono nell'acqua che rimane sospesa nell'aria. Aria azzurra, come il mare, come l'oceano, ad un lato, che scorre su onde che arrivano frammentate ai miei piedi. Bassa marea. E metri, metri di terra, di sabbia bianca, ed un solo continuo rumore di sottofondo. Ripenso al Bolero... Avanti, ancora, inghiottito un questo mondo azzurro senza dimensione. Incontro ogni tanto qualcuno di quei pescatori, riemergono dal mare, trascinano una rete. Sorridono e salutano. Penso che questo sia il mare dell'Africa. E dove giungo, io, difficile distinguere un punto sulla spiaggia, sul mare, sequendo un filo d'azzurro, un filo d'Arianna, mentre respiro a pieni polmoni e come pensieri scorrono sulle note di questa melodia. Oytis... oytis... navigando in un mare invisibile.
Come Mohammed c'é altra gente, senza nome. Come lui e come il pescatore che mi parla spagnolo sugli scogli. Una sera quando rientro trovo il cameriere dell'albergo che sta cenando. E' pesce alla griglia, é la sua cena quando ormai é notte. Gli ho parlato a gesti soltanto il tempo di chiedere se ci fosse una stanza. Ed ora lui mi invita a mangiare direttamente dal suo piatto, con un gesto ampio e gioviale. Una sera stanno trasmettendo le qualificazioni europee e si sintonizzano sulla partita dell'Italia perché la guardi con loro. Anche queste piccole cose sono Marocco, e credo sia giusto annotarle a margine di un taccuino non scritto, perché di questo anche si nutre il mio viaggio, anche quando sono stanco ed un po' sfiduciato, per ricordare volti che non ho conosciuto.
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