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Immagine del redattoreoytis

Per chi suona le campanelle


 



Sono solo pochi passi e l'aria riempie i polmoni. Fresca ed umida, densa d'acqua. Mentre sopra, la via si chiude, il cielo sparisce, ben oltre la coltre di nuvole che da tutto il giorno appare e scompare. Mentre le foglie scricchiolano. Ad ogni passo, anche se in realtà é primavera. Ed io cammino, qualche altro passo, scendo un viale tracciato, una strada tra il verde dei pioppi, qualche sequoia, e l'azzurro. Delle fate, degli elfi, degli ultimi giorni d'aprile. Di un alito di vento che sembra quasi un sussurro. Whispering. Da dove venga, mi piace immaginare sia davvero un lieve respiro portato dai giacinti selvatici che ancora ondeggiano quando mi rigiro a guardarli. E piano piano si apre il sottobosco, come un mare incontaminato che non é consentito sfiorare. Tanto che mi sembra di riconoscere un luogo, un angolo, un ramo scarnito e scheletrico che passa ad arco sul terreno per poi fondersi nuovamente nell'onda azzurra che l'ha lasciato respirare, anche solo un attimo, che tuttavia sembra fissato nel tempo, se tornando l'ho trovato così come era.



Lo chiamano davvero bosco delle fate. Eppure sembra non sia poi così conosciuto. Lascio sia lo sguardo a correre, su ogni segno d'azzurro che copre il suolo, fin dove una punta di bianco spunta, quasi per scherzo. Quasi una nota di colore, uno direbbe. Emerge. Oltre un palcoscenico che scintilla sullo sfondo indefinito. A livello del terreno. Profumo di pioggia, e la terra  che rimane umida. Ed umida affonda la mano nei ricordi, nella suggestione di un colore che non é colore, nella penna che scriveva, oggi come allora, sussurrando al silenzio, come una voce nascosta, nel bosco delle fate.




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