4/6 Settembre 2013
Questa sera sono nelle mani dei tre Mohammed. Che semplicemente significa ho voluto comprare delle cose dal primo e poi a mano a mano uno presentava l'altro. L'ultimo dei tre ha il volto identico a quello di Morgan Freeman, l'attore, e così me lo presentano, ridendo, i suoi vicini. Non potrebbe essere diversamente, visto che Ouarzazate é la zona in cui si concentrano i set, più o meno naturali, dell'industria cinematografica quando cerca il deserto. Cosa conservo di queste tre persone, molto poco in realtà, se non il fatto che con ognuno ho passato del tempo, ho contrattato e mi sono lasciato in ogni caso con una stretta di mano. Nessuno di loro ha la foga e la pressione di altri venditori. Così come altre persone che trovo in questa città. Ancora una volta, é come se dietro al tempo dipinto su un volto aderisse un velo di saggezza ed un modo differente di guardare alla vita. Dalla caraffa sollevata in alto precipita nel bicchiere, fumante, un altro sorso di the alla menta, e dietro i ferri battuti di una finestra senza vetri scivola l'aria calda del deserto ed il profilo di un minareto appare incorniciato, nel richiamo alla preghiera, dalle forme contorte del metallo.
Trentacinque gradi. E la macchina arranca su curve cieche a strapiombo su uno spazio di nessuno. Montagne nere che sembrano insormontabili, che si oppongono come una barriera prima della discesa nel deserto. Quaranta gradi. Oltre la cima, la strada sembra scomparire, sembra non ci sia nulla. E invece, altre montagne, nere ed arse dal sole. Cielo azzurro, aria tersa. Non so come siano arrivate qui queste persone che spuntano fuori da un masso appena fermi la macchina per vendere due oggetti o un cesto di datteri. E chiedono se hai acqua da lasciare giù. Quarantacinque gradi. Sì sto scendendo, incanalato per davvero nella Valle del Draa. Ecco, anche il nome, con la sua assonanza all'inglese, mi comunica un senso di aridità senza limiti. E così é: desolata, arida strada coperta di polvere e flagellata da un sole impietoso. Quarantacinque e più gradi. Ora, solo l'ombra di una palma, o l'aria incredibilmente fresca che scivola tra i vicoli interni di una kasbah, può farmi respirare, illudermi che la sete che sento sia alleviata, che l'acqua rimasta nella bottiglia non sia calda. Un the nel deserto, sono proprio su questa strada. Ecco, la Valle del Draa é questo: desolazione, accesso al deserto attraverso oasi di pace e sicurezza, e villaggi rinchiusi dietro di esse o appollaiati lungo la strada. Qui passava la carovana, passavano i viaggiatori, i predoni, i pellegrini... una carovana, un po' come mi paice immaginare quella su cui ero salito io, giorni fa. Qui, si giungeva all'ultima frontiera: Timbuctù, 52 giorni. E la strada si smaterializzava, come oggi, nel deserto, verso il mito. La verità é che la valle del Draa mi ha sconfitto. Esausto, ad un certo punto decido di accorciare e cambiare direzione, e lasciare dietro di me il deserto, almeno così nella sua accezione più classica. Non cercherò un'altra carovana. Altre montagne all'orizzonte.
Questo é l'Anti Atlas. Come dire, sto scendendo verso sud, ma anche verso il mare. Per me, in macchina, é come l'ultimo valico prima di arrivare a poter scrivere l'ultima parte del mio libro. E nel frattempo, mi arrampico su strade che rimangono uno spettacolo da guidare, dove per chilometri e chilometri non passa nessuno, in direzione opposta a sfanalare in segno di saluto. Così, si rivela sempre più nel profondo, un Marocco rurale ed apparentemente immobile. Come questi personaggi degi di un romanzo che appaiono come profili lungo la strada, all'angolo di un villaggio che appare e scompare nel segno di una curva, oppure in cammino sul loro asino caricato di beni, su un crocevia che sembra terra di nessuno. Chi sono... bambini al lavoro, uomini anziani avvolti nei loro turbanti, o donne che procedono con la schiena curva sotto il loro povero carico. E qualcuno alza il braccio, ancora una volta quasi immobile, in segno di saluto. Immobile, come Achmed, il padrone della casa dove mi fermo, una sera, nel paese che é famoso per le colture di zafferano. Un uomo dalla pelle scura che tiene i capelli lunghi e grigi annodati dietro il capo a mò di avventuriero di una montagna che conosce come le proprie tasche. Nell'ombra rimane tutta la sera seduto sulla sua sedia a mirare il vuoto immenso davanti ai propri occhi, avvolto in chissà quale pensiero, in chissà quale attesa che la mia immaginazione gli vuole ricamare attorno, illuminato soltanto dalla luce che sprigiona il tizzone acceso della sua sigaretta. Eppure, tra massi giganti levigati dalla paziente azione del vento, tra nuvoloni che appaiono e scompaiono, così come le ombre adagiate sui paesaggi che si spalancano dall'alto come una finestra aperta all'improvviso dal vento, il luogo che più mi rimarrà nel cuore si trova in fondo ad una strada tortuosa, in fondo ad una valle, nascosta in una gola. Qui le palme ondeggiano scosse dal vento che si insinua tra le pareti della montagna che si innalzano ai lati come ali. Un passaggio, dove l'acqua fresca passa da un lato all'altro come un serpente, dove c'é solo il rumore delle fronde, dove tutta la stanchezza sembra lasciarsi, leggera, dietro un cristallo di pace.
Mi sveglio nella notte. Sembra incredibile, ma sta piovendo. A dirotto. E' sempre labile il confine che separa il sogno dalla veglia. Penso che la mia macchina, la fuori, forse si scrollerà un po' di quella polvere che l'accompagna. Penso al libro che stavo leggendo, prima di addormentarmi. Al "Volo su Arras": é come se lo avessi lasciato lassù nei cieli, Exupery, in avvicinamento alla sua missione di guerra, é come se lo vedessi, un attimo, sospeso nei cieli neri di una notte di Francia...
"...aspetterò la notte per riflettere. La cara notte. Nella notte la ragione dorme, e le cose semplicemente sono. Quelle che importano davvero riprendono la loro forma, sopravvivono alle distruzioni dell'analisi del giorno. L'uomo ricompone i suoi pezzi e ridiventa un albero calmo..."
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