18,19,20 Novembre 2015
Una città blu, una città bianca. Nel mezzo, chilometri di strada tortuosa, templi candidi scolpiti in ogni possibile centimetro ed una fortezza che quasi sembra una grande muraglia. La terra dei Maharaja é anche il colore di una città, che osservata la sera si stende in un labirinto di implacabile magia. Da quell'intrico senza fine salgono i rumori insistenti del traffico e della vita indiana. Non importa quasi più che si tratti di motociclette, tuctuc, cani, vacche o elefanti: sai che anche una strada che sembra quasi un passaggio può portare ad incontri inaspettati. A volte, mi ci perdo letteralmente dopo pochi passi, sovrastato dai rumori, un po' di tensione, le mille sensazioni che mi raggiungono in continuazione. Altre volte mi fermo ad osservare dall'alto di una finestra, protetta magari da una di quelle griglie di pietra decorate ognuna secondo un disegno proprio, che nascondeva le donne del palazzo alla vista. Nelle pietre tagliate quasi mi specchio, cercando di immaginare un potere antico e quasi sovrannaturale, dove donne si spingevano all'immolazione sulla pira del principe dopo aver impresso la propria impronta su quella stessa pietra, e dove i cavalieri Rajput, conosciuti in tutto il regno, combattevano con onore feroce. Frame di film o disegni di libri da romanzi che terribilmente contrastano con tutto quanto é là fuori, oltre pochi passi. Tanto da non sapere a cosa credere.
Ospitaltà ed amore per la terra. Il secondo é quello del nostro guidatore, che accosta sulla strada in un villaggio qualsiasi, a mostrarci una pianta che restituisce un frutto dalla forma curiosa e dal sapore dolcissimo. Una prelibatezza che é quasi una rarità, tanto sono ristretti il tempo e la regione in cui cresce. L'ospitalità é quella di una famiglia di piccoli agricoltori, le cui donne prima ci guardano incuriositi, e poi ci offrono una manciata di questi frutti raccolti. Accettare la loro ospitalità é un onore che quasi mi neutralizza per la sua genuinità, varcare la soglia della loro casa ed entrare nel loro mondo é un contatto semplice e profondo che mi viene concesso. Attraverso gli animali, le piante, i frutti, le fasce di rami raccolti trasportati sulla schiena lungo la via da chissà quali campi oltre il villaggio verso casa, tutto confinato dietro un muretto eretto artigianalmente, che dalla macchina non era altro che il ciglio della strada.
Udaipur é in un certo senso un altro punto di riposo. Un po' perché adagiata su un lago la parte vecchia quasi mi riporta ad una dimensione più umana, un po' perché forse mi concedo il tempo di un respiro, o perché il modo in cui vi arrivo é quasi un approdo. O forse sarà pure per un luogo che porta il nome del Piccolo Principe. Raramente, in questi giorni, ho questa sensazione di respiro. L'acqua ha sempre questo effetto, in qualche modo, di calmare le emozioni. Saranno i riflessi, il moto leggero e continuo, il rumore dell'acqua. So che vorrei fermarmi di più. Ad osservare macchie di colore variare in continuazione sulla superficie del lago, osservare un passo di danza, o guardare in lontananza, isole in controluce e profili sfumati di montagne in lontananza. E magari, perché no, aspettare nuovamente il tramonto, quando a riva qualche uomo si immerge e delle donne giungono coi bambini a lavare i panni, mentre sull'acqua famiglie di pescatori si spingono un po' più in là e gettano magre le loro reti.
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