26,27 Novembre 2015
Un treno che corre, nemmeno troppo, con un ritardo abissale, l'arrivo ormai di notte, pochi passi soltanto, fanno capire che questo é un angolo fuori da ogni rotta straniera. Eppure, più di ogni altro, questo é il luogo cui ci siamo dati appuntamento. Al termine, quasi, di un viaggio che con lo sguardo rivolto indietro appare lungo, lunghissimo poi nelle parole, ed allo steso tempo breve come il tempo di un respiro trattenuto. Una ragione per essere qui, ed un'attesa per partecipare in prima persona ad un momento solenne e carico di emozioni e tradizioni. Un viaggio, una maratona quasi, fatta di tempi e rituali, finanche nell'espressione delle emozioni e negli atteggiamenti. In questi giorni, propizi secondo il credo induista alla formazione di nuove unioni, ho visto in numero sempre crescente preparativi ed allestimenti, luoghi preparati apposta per trasformarsi una notte in giardini di delizie e spazi principeschi: una fortuna, difficilmente conciliabile con tutto ciò che é la quotidianità che appare ad ogni passo, di fuori, vere e proprie follie impegnate per un evento dal forte significato sociale. Il mio amico indiano si sposa: un matrimonio combinato, accettato alla luce di un'incontro reale durato una manciata di minuti e ricercato attraverso i nomi delle famiglie, le congiunzioni astronomiche e, silenziosamente, nell'organizzazione sociale. Un matrimonio arrangiato secondo regole ben precise, stabilite in particolari che forse difficilmente possiamo immaginare fino in fondo, dalla scelta dei celebranti alla divisione dei compiti fino anche ad indicazioni sul futuro. Anche questa é India, e chissà poi quante altre parti del mondo, e nemmeno troppo profonda, rispetto al contesto. Per me, é un'esperienza ed un'occasione privilegiata di conoscere, osservare, affascinato, da dentro, ciò che é, ciò che deve apparire, e ciò che magari é ma non deve apparire.
C'é una differenza fondamentale tra lo sposo e la sposa. Il primo partecipa sin dall'inizio, ad ogni stadio del matrimonio, quasi catturato ed imprigionato dalle orazioni, le offerte ed i rituali dei sacerdotio che gli siedono accanto. Sempre presente, come del resto la sua famiglia. La seconda appare, ad ogni fase, in un secondo tempo, quasi introdotta dai lunghi sermoni del sacerdote, di sicuro anticipata da una lunga serie di doni portati dai familiari, quasi in dote, in segno di rispetto che si estende addirittura fino a noi, stranieri amici dello sposo e destinatari di doni. Il primo guarda dritto, é sicuro di sé nello sguardo, la seconda appare contrita, impaurita e di una timidezza dolce quanto rigida, secondo una sequenza che si spiega lungo le varie fasi della cerimonia, dagli occhi bassi ad un pianto telecomandato ad un dato istante della cerimonia. Mi rendo conto quasi immediatamente che decifrare questi linguaggi del corpo sarebbe impossibile, come fossero anch'essi espressi in questa lingua sconosciuta che a tratti viene snocciolata secondo una modulazione continua e regolare. Allora, almeno, cercherò di scrutare i particolari, a partire dai finimenti dei vestiti, che cambiano di fase in fase, dai finimenti ed i gioielli, dagli sguardi degli invitati, ma soprattutto dalle mani decorate con l'henna, semplici e veloci quelli delle mie amiche, più complicati quelli delle altre donne, intrico senza fine quelli della sposa. E in questi dettagli, ognuno dei quali ha un significato ed una funzione che sicuramente mi sfuggono, che un equilibrio superiore sembra comporsi.
Ho pensato che ogni fase sembra ordinata al contrario. Il primo giorno arriviamo accolti da un pranzo relativamente leggero che prelude alla presentazione ufficiale degli sposi, uno al cospetto dell'altro, al seguito di offerte propiziatorie e la presentazione di una vera e propria dote. E' in questo momento che, tra le altre cose, come amici riceviamo un dono ed anche la nostra fronte viene segnata in segno di benedizione. E' il momento in cui lei abbandona la casa per abbracciare la famiglia di lui. La folla si scioglie, ed ognuno torna a casa. La sera, verso un banchetto principesco, si ritroveranno gli invitati. Da una strada, lungo tutta la città, accompagnato da sonagli, chiasso e danze, lo sposo procede, in cima al cavallo - l'elefante sarebbe stato troppo costoso - ed una carrozza al seguito. E' la festa, che inizia ben oltre il giardino delle meraviglie, lungo le vie di ogni giorno, e tanto si danza e si suona che pochi metri diventano una distanza infinita. Ancora una volta, la sposa compare in seguito, al centro del palco allestito per la coppia, una sorta di isola sacra entro la quale i due siederanno tutta la sera su troni allestiti, semplicemente spettatori del banchetto offerto ai loro ospiti. C'é un'intrinseca silente solitudine nel loro confinamento in questa posizione privilegiata. Amici e familiari sollevano i due sposi, che a turno, in segno di promessa, cingono il collo dell'altro di una corona di fiori, le stesse che in ogni luogo sacro vengono abbandonate alla divinità o alle acque sacre di un fiume. Ancora una volta, calerà il silenzio. Perché il matrimonio vero e proprio ancora non é stato celebrato: sarà nel cuore della notte, alla presenza delle stelle e degli spiriti buoni dell'Induismo, benessere e fortuna, che l'unione verrà scritta, tra passaggi scritti, e movimenti fisici, lui conducendo lei attorno un cerchio magico, oltre una soglia simbolica di mattoni, prima che sia alba, prima che si segni una nuova partenza.
Siamo tornati. Buio profondo ed un alito di freddo. Attorno al fuoco, ci cingiamo. E chi si era abbandonato al sonno viene svegliato, fatto spostare magari, perché inizi la cerimonia. E poco più in là qualcun'altro continua a dormire, come un nomade che trova ristoro nel proprio semplice giaciglio. Solo i parenti più stretti sono qui, riuniti attorno ad un cerchio che sembra quasi magico, mistico, e che risveglia nella mente la sensazione di un rito antichissimo ed intimo, un patto sacro e silenzioso. Ancora una volta, dal buio, la sposa arriverà in seguito. Inizia la lettura dei Veda. Non lo leggerà tutto, penso. Ed invece sì, sarà così, una notte lunga ed interminabile, in cui improvvisamente quello spazio enorme e sfarzoso di poche ore prima si é ridotto ad un piccolo fuoco sacro al centro di una stanza, attorniato da tappeti, che al tempo stesso evoca uno di quei fuochi di vita e di sacralità che animano le notti nel deserto. L'infinito in una stanza. Osservo lo sguardo mite di chi conosce bene questo rito, i gesti consolatori della nonna della sposa, che come una matriarca accompagna la ragazza in questo passaggio, pronta a raccogliere il suo pianto liberatorio, e lo sgaurdo a tratti impegnato, a tratti assonnato, dei genitori. Come se osservassi un film in lingua straniera, catturo le spiegazioni che come sottotitoli mi vengono somministrate con pazienza. Non sono altro che bisbigli. Mi rendo conto che in qualche modo sono partecipe di un qualcosa di più segreto che affonda in una storia tanto antica da non essere forse nemmeno scritta. E come senza tempo é l'ingresso non richiesto di questuanti, gente travestita e maltruccata, che cerca di interrompere ad ogni costo la cerimonia: il padre li prende, li allontana, allunga dei soldi dicendo loro che sanno dove trovarlo, il giorno successivo. Anche questa é un'immagine di India profonda: quelli che una volta sarebbero stati definiti dei fuori-casta che reclamano il loro posto al margine del banchetto, e quello che alla fine é un sistema collaudato e quasi innato. Poi ripiomba il silenzio attorno al salmodiare dei due celebranti, uno per famiglia. Tanto da non riconoscere se ci sia una proclamazione vera e propria. So solo che il sole sta sorgendo, e con esso quasi naturalmente si spegne la luce del fuoco. E come una lunga traversata, gli sposi, e chi con loro, ne usciranno trasformati.
"Esseri umani, piante o polvere cosmica: tutti danziamo su una melodia misteriosa intonata nello spazio da un musicista invisibile." E sì, é tutta una danza, da celebrarsi come rito collettivo dove la tensione accumulata sembra trovare una via di sfogo. La sposa disegna con delicatezza linee nell'aria; lo sposo l'aria la fende con un procedere da spaccone: sul palco vanno in scensa caratteri ed approcci differenti. E' tutta una danza, l'omaggio dei parenti, le scene divertenti, il saluto più o meno volontario degli ospiti. Sintesi perfetta di un motivo comune e costante, come un ritmo continuo che scorre innato e quasi trascende il significato della musica stessa. Forse é questa la connessione con quella melodia misteriosa, forse pure l'equivalente sonoro di quell'esplosione incredibile di colori che hanno inebriato i miei occhi in queste ultime settimane. E se questa musica, questi segni delicati tracciati nell'aria, non sono altro che un inizio, sento che ogni nota mi avvicina ad un addio e mi allontana da un amico e, in un certo senso, da un periodo della mia vita. Mi rendo conto che non sono il solo a santirla così. Perché presto sarà il tempo delle strette di mano, un abbraccio, ed un ultimo sguardo che vale un saluto. Ed un arrivederci si trasformerà presto in una distanza infinita.
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