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Chapter 2 - The gateway to India : New Dehli, il caos dentro


 


5,6,13,25 Novembre 2015



Delhi é la capitale di oggi e di ieri. Delhi in realtà é la città composta da numerose città, ognuna construita dal proprio condottiero, o imperatore, chiunque sia passato di qui ed abbia gettato le basi del proprio potere. Dietro un'alternanza di ampli viali e strade dal traffico congestionato si custodiscono rovine di queste singole città, monumenti funebri di straordinaria bellezza e parchi commemorativi ai personaggi più importanti della storia recente, imperniata sulla famiglia Gandhi. Passare da uno all'altro, dalla strada a questi luoghi, é come varcare una soglia invisibile, oltrepassare delle mura di demarcazione ed abbandonare il frastuono ed il continuo movimento della città di oggi per accedere al silenzio ed alla contemplazione di spazi paralleli, dove la vita stessa di chi vi si trova dentro improvvisamente rallenta dai ritmi indemoniati di ciò che rimane fuori.



Il tempo si é fermato. Al centro di un un agglomerato degradato, attraversando una serie di corridoi a portico, si apre l'entrata ad una piccola moschea dove offerte di fiori ed intrecci di tessuto si mescolano alla tradizione mussulmana, fuse in un mistico canto ondulato e senza sosta. Delhi fu capitale di molti regni, ma il segno ultimo e più distintivo é quello impresso dall'impero Mughal. Lo si trova nell'architettura, nella planimetria della città, nella cultura e nella religione. Attorno al bazaar della città vecchia si apre la più grande moschea del Paese, uno spazio enorme che idealmente guarda oltre le proprie mura, e dove la vita scorre oltre la preghiera. Tutta la città, in realtà, é costellata di bazaar, ognuna con un proprio carattere. Tutta la città, in realtà, si estende oltre confini che soltanto giungendovi da fuori rendono l'idea delle dimensioni oltre misura, ben oltre le linee della moderna metropolitana, che pur passando ogni tre minuti é sempre piena. Ed ancora una volta, il passaggio é netto, come se la modernità fosse arrivata troppo presto, appena varcata la soglia, e non si fosse preparati, nuovamente, a tutto questo.



Pronti, via. Punto d'incontro Connaught Place, centro della Delhi che cambia, un vortice di suoni e persone che ruota come il disegno stesso della piazza. Da qui, la metropolitana é ad un centro nevralgico dove le due linee principali si incontrano: nel tardo pomeriggio é come tuffarsi in un fiume in piena ed abbandonarsi alla sua corrente. Fermata bazaar, nel cuore della Vecchia Delhi: verso sera, la moltitudine tumultuosa di questa città inizia a mostrarsi in tutta la sua grandezza. Gente, gente ed ancora gente. Lungo vie strette che sfiorano templi e si addentrano per vicoli coperti di stoffe e colori. Sbuchiamo fuori, sull'asse principale: in lontananza le porte del Red Fort. Prima fermata, di questo intreccio tra tradizione e cultura, su dei gradini ad assaggiare le patate sciolte nel formaggio. Il tempio Sikh torreggia di fronte: é un rituale comune ad altre tradizione il togliere le calzature e pulire il corpo prima di entrare. Colori, silenzio e turbanti, sguardi profondi e meditazione divina. Parte del tempio, é dedicato alle cucine: migliaia di persone, ogni giorno vengono sfamate gratuitamente negli spazi retrostanti il tempio. La cucina é invasa da pentoloni enormi ed altrettanto grandi bracieri, ad un angolo donne e bambini impastano il pane e lo stendono sul tavolo. Una bambina si volta di scatto, e mi regala creedo il sorriso più genuino che abbia incontrato in tutto il mio viaggio, dietro una punta di farina sulle guance e sul naso, ed i capelli raccolti in una fascia colorata. Dal silenzio al caos: nuovamente per strada. Prendiamo un riscio, il primo della serata. Una svolta, l'entrata nel traffico, da qui ho perso l'orientamento. Sono invaso da una selva di suoni, fasci di luce che danzano convulsi nel buio incipiente, rumori di strada, infinite ombre in movimento. Nemmeno so come riesco a passare. Altri riscio mi sfrecciano accanto, altri ancora incrociano la mia direzione con gli sguardi fugaci dei loro passeggeri. Cibo, profumi e sapori. Ci fermiamo in luoghi che mai avrei immaginato, mai avrei varcato. Un tovagliolo passato veloce sul tavolo, del sapone sulle mani. Sapori inebrianti, uno dopo l'altro, luogo dopo luogo.



No, non é finita. Ci spostiamo lungo iuna mappa che é un intrico medievale ed un guazzabuglio moderno. Riscio dopo riscio, entriamo in strade che si diramano, ognuna una porta d'accesso al proprio bazaar, come un parco tematico. Perché secondo tradizione, i bazaar sono divisi per prodotti, lavori ed affari. Gioielli pendenti calano dai soffitti fino a creare cortine moventi, tintinnano e luccicano. Più in là é la volta della carta, quella lavorata a mano ed il suo profumo di nuovo nascosto entro taccuini e rilegature. Ondeggiano ad ogni alito di vento i vestiti, una strada oltre, le pialettes scintillano un istante soltanto e torri di stoffa costruiscono esse stesse gli spazi che le contengono. Imbuchiamo scale strette e mi ritrovo su un tetto: a fuoco vivi, su un enorme braciere qui servono i paratha più buoni cha abbia mangiato in un mese, la "pizza indiana", pane piadine di pane imbottite di cibo, si tratti di formaggio, impasto di patate o verdure speziate. Ancora giù per strada. E' un vortice continuo, senza sosta. Siamo bloccati, laddove una macchina si é avventurata in un passaggio murato di gente, motociclette e riscio. Sollevo lo sguardo e vedo cosa sono le strada della vecchia Delhi: una rete fittissima di cavi dell'elettricità allacciati tra loro, annodati alla rete cittadina. Arte di vivere. Ed eccoci infine al mercato delle spezie: qui, dietro sacchi stracolmi portati sulla testa e carretti riempiti all'inverosimile, scorrono denari senza sosta. Il sapore delle spezie sale alle narici, sempre più intenso. La gente si muove come uno sciame continuo, tra portantini e piccoli sacchetti per la spesa quotidiana. E' un misto di mondo arabo ed indiano, ed il carattere del luogo é tutt'uno con la gigantesca moschea che si staglia alle spalle. E noi saliamo, su scale inghiottite nel buio, raggiungiamo i tetti di quello che era la corte degli uffici della Compagnia delle India. L'architettura coloniale é riconoscibile alla luce della luna. Il sapore del chili sale fortissimo, quasi annacqua gli occhi, mi inebria la mente. Ancora un riscio, un altro ingresso, un altro tavolo, quasi uno scantinato. La gente sorride nel porgermi il cibo. Si conclude con pollo fritto, dolci, un pudding di riso e frutta secca ed un lassi gelato, ed ai tavoli si impara di progetti, sogni privati e piani di sviluppo. Sono sfinito ed appagato come difficilmente avrei potuto desiderare. E lasciare le mie guide, di ritorno alla piazza é un po' un addio ed una promessa.




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