1,4 Novembre 2015
Da dove dovrei iniziare... la porta d'ingresso dell'India si affaccia sul mare, di fronte a grattacieli persi nella foschia, barconi legati uno con l'altro e davanti ad un hotel di lusso segnato pochi anni fa da eventi cruenti. Il sole é caldo, già la prima mattina, e preannuncia una giornata di afa malgrado sia su una di quelle imbarcazioni che oscillano mollemente prima di salpare gli ormeggi. No. La mia porta di ingresso é l'aeroporto, qualche decina di chilometri a nord, e la notte fonda, all'orario degli arrivi internazionali. Caldo stringente, fin da subito, ed immediatamente quell'aria quasi irrespirabile, composta di fumi, materiale bruciato senza regole, odore di immondizia abbandonata. La mia porta d'ingresso é una lotta, quasi serrata, per evitare le varie offerte di taxi, puntare al chiosco di quelli prepagati e resistere in coda; é infine una strada che corre verso il centro, se così si può definire una zona di una città di decine di milioni di persone, incrociando un traffico pazzesco ed offrendo immediatamente uno spaccato di cosa mi aspetta. Ed é questo ciò che mi colpisce immediatamente: una miriade di ombre, lungo la strada, o appena intraviste lungo le numerose diramazioni che in pochi metri spariscono imghiottite dal buio. Ombre di uomini, illuminate un istante da un fuoco acceso su un ciglio, o dai fari di una macchina che procede a clacson spiegato: ombre, non avrei altra parola per descrivere la sensazione che provo passando così, veloce, a prima vista, e vedendo la vita srotolarsi su un marciapiede, una tenda improvvisata o due pezzi di lamiera, oppure un carretto appoggiato al muretto, o forse una coperta di fortuna, o spesso nemmeno quella. Anche nel buio la prima cosa che salta agli occhi é una miseria tremenda, senza spazio e senza respiro.
Dharavi é lo slum più grande dell'Asia. Così, almeno lo presentano, voci contrarie contestano. Non ha importanza. Dharavi é uno slum. Enorme, per la densità di popolazione, un milione - forse di più, forse di meno - nello spazio di un quartiere. Dove slum sta semplicemente per abusivo. No, é ovviamente molto di più: l'assenza di acqua corrente, di elettricità, di spazio. Forse. Perché rimane un mondo inaccessibile. Non di dignità, questo no, non mi sento di poterlo dire né tantomeno giudicare, e questo mi sembrerebbe. Perché nell'anima di questa città nella città confluiscono persone da ogni parte dell'India, uomini che stipati in spazi angusti vivono e lavorano senza sosta, ed ogni azione della vita si muove su un unico palcoscenico, fatto di case agglomerate, strade che quasi scompaiono tanto diventano strette, prima di sbucare nel mezzo di un corteo per la nascita di un bambino, o in un bazar allungato ai lati della strada, uno spazio dove la terracotta é lasciata essicare, onu spazio dove si fa il pane, o il ridosso di una discarica. Ed allora, cos'é la dignità, un concetto diverso da quello che potrei esprimere secondo i miei parametri. Quando cozza con il sorriso della gente, l'invito ad entrare, il mio sguardo su un mondo di invisibili. Mani laboriose che setacciano plastica, separano, riciclano, o altre che si occupano dei metalli, nessuna mascherina per via del caldo insopportabile sul volto nero ed i polmoni distrutti nel giro di pochi anni. Quando cozza con i colori di un corteo, e tutte le persone estraggono un telefono per fare una foto con te, o la figura di un'anziana accovacciata su se stessa ti porge un bambino o ti invita a modellare l'argilla. Non si possono scattare fotografie, in visita, sia questo per rispetto alle persone o anche perché angoli bui non vogliono venire a trovarsi sotto ogni tipo di luce. Perché é impossibile sapere esattamente cosa vediamo e cosa invece ci rimane nascosto. Ci sono molte cose da raccontare, di questa visita, che pure rimane guidata attraverso luoghi accessibili perché possa conoscere una versione di ciò che vedo. Non so quanto lascio dietro, quanto possa anche solo immaginare, quanto posso imparare. Dharavi é uno slum particolare, non solo per le dimensioni umane, ma anche per il fatto che non si tratti solo di abitazioni ma sia anche luogo di impresa. Ed i numeri di quei lavori umili e continui sono in realtà cifre esorbitanti. Esorbitanti sono i prezzi della terra edificabile, in una città come Mumbai, ed un luogo come questo potrebbe fruttare denaro, parecchio. La riqualificazione degli slum passa anche da questo, da interessi sotterranei, probabilmente neanche troppo e dalla questione silenziosa che riguarda i suoi destinatari. Sullo sfondo, edifici di lusso si alternano a quelle che sono abitazioni temporanee, dove un blocco di abitanti dovrebbe essere trasferito mentre la sua zona viene ricostruita secondo regole e piani precisi. Eppure la gente é restia a tutto questo, sia il cambiamento, la consapevolezza degli ultimi di rischiare di rimanere fuori dai giochi, la paura di perdere il poco che resta. Anche nel profilo di case che circonda lo slum, l'immagine é sconcertante: sconcertante il contrasto, lontano, che oppone lusso e miseria, sconfortante nell'incuria che edifici preposti, costruiti meno di dieci anni fa, sofforno come se fossero costruzioni vecchie di un secolo. E' il contrasto tra una condizione secolarizzata e la voglia di cambiare. E le versioni su questo tema, condito di opinioni cotrastanti ed accuse reciproche, sono parecchie. Per questo, posso solo assorbire quel poco che giunge fino a me, in un passaggio a volo radente. Dharavi é divisa in una parte mussulmana ed una parte indu, una distinzione che affonda in fatti non troppo lontani e che nasconde un raggiunto equilibrio, specie quando si tratta di soldi: attraversarne il confine é come marcare un taglio netto nell'aria ed alla vista. Anche questa é una sensazione profonda. Lungo la mia visita, a tratti, mi é sembrato quasi di riemergere, un attimo, da un'apnea improvvisa. Ed era ciò che non vedevo ad opprimermi maggiormente. Ho visitato progetti, più o meno efficaci e funzionanti. Una scuola, che era poi una stanza al primo piano di un edificio, dove bambini col corpo disegnavano le lettere dell'alfabeto. Il futuro di Dharavi, spero, passa da qui.
Sono arrivato al mare. Oceano Indiano. Giungere al mare ha sempre lo stesso effetto, indistintamente. Calmante. Anche se il sole quasi impallidisce dietro una foschia che non si sa se si tratti di vapore o inquinamento, tutta quest'aria umida e sporca. Ho ripreso uno di quei treni urbani, sopravvivendo grazie al fatto che sia domenica e non via sia una ressa invivibile. Sono uscito di fronte a quella che é un'enorme lavanderia a cielo aperto, dove si dice un decimo degli abiti vestiti da un oumo indiano sia stato lavato almeno una volta. E poi, ho iniziato a camminare. Lungo una strada che sulla mappa non doveva essere troppo lunga e che invece sembrava infinita. Non riesco a scrollarmi di dosso le prime sensazioni che mi hanno colpito, il caos, la miseria, il contrasto più brutale. Arrivato al mare, infine, una stardina vi penetrava per raggiungere una moschea che come un'isola misteriosa fluttuava in lontananza. Animali, mendicanti, entrambi indistintamente oppressi da deformazioni che non avrei immaginato. Di fronte, sull'altro lato, venditori di oggetti votivi. In mezzo, un flusso continuo di gente, pellegrini e visitatori. Percorrere quei duecento metri o poco più é stato un altro di quei viaggi infiniti, dove infinite scene di umanità si condensavano una sull'altra fino a stordirmi. Così, raggiunta la spiaggia, infine, é quasi un respiro. Oltre tutto ciò che in un giorno mi ha toccato e colpito.
Verso sud, verso il mare e quella porta d'accesso costruita dai Britannici. Verso un'isola a forma di elefante, le cui scale tolgono il fiato anche di primo mattino e nel frattempo un occhio bisogna anche tenerlo sulle scimmie che balzano sugli alberi. Il mare brilla di riflessi, e Mumbai si allontana lentamente. Ho incontrato una donna canadese che di viaggi e della sua vita e dei suoi amori potrebbe scriverne un libro. Lo racconta a me, seduto al suo fianco durante la traversata. Ha settantacinque anni che non immagini e, per quante cose mi racconta siano lontane da me, mi sorprende la sua incredibile voglia di vivere. Verso nord, verso l'albergo ed un viaggio interminabile per l'aeroporto. Tra edifici coloniali e la bolgia di mercati che invadono le strade. Non riesco a camminare, a tratti. Le stesse dove la sera, tra le macchine in sosta e di passaggio si gioca lo sport nazionale. Cricket. Sì, incredibile ma é davvero così. In partenza.
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