Con la strada che curva, si restringe all'improvviso, ti accorgi che é come fossi su un sentiero, che si arrampica tortuoso attorno montagnole ed altipiani, taglia schiere di alberi ed affonda nella foresta delle Ardenne, sbuca fuori, attraverso una scociatoia nel verde ed alla fine giunge sempre in un paese, con il suo castello arroccato sopra un grumo di case addossate e viottoli ciottolosi che si arrampicano fino in cima, con il fiume a valle che fa una piega, disegna una curva completa e quasi torna indietro. E le nubi, che minacciano pioggia, il vento freddo d'alta pianura e qualche cristallo di neve sospeso nell'aria, come fosse stato dimenticato da un inverno che ancora non se ne é andato. Ogni bastione ha il suo squrcio del tempo, la sua pietra diroccata, il suo precipizio verso il vuoto. Vessillo spiegato, sgualcito, un'asta conficcata nel terreno o un'immagine posta in sommità... e poi giù, attraverso le porte ed i torrioni, fin nelle cantine e nei sotterranei, in cui l'aria immobile rimane impregnata di mosto e di terra umida.
Nelle Ardenne si é combattuta una battaglia, l'ultima cruenta controffensiva dell'esercito tedesco, alla fine de '44. Tra Belgio e Lussemburgo le ferite dell scontro si contano nelle placche sparse per le città, le bandiere spiegate, nei carri armati e ciò che ne resta a mò di cenotafio. I solchi della storia emergonotra le fortezze, difese ed attaccate con ogni vita, nei cimiteri militari nascosti dietro un nugolo di alberi. Americano e tedesco, a poca distanza. Sembra di ripercorrere i sentieri della Normandia. E' giorno di Pasqua, domenica mattina, e nevica. Schiere di croci candide, erba livellata, ogni cespuglio curato, dalla parte americana, croci basse e scure, con più nomi scritti sulla stessa lapide da parte tedesca. Anche questo é il conto della storia. Nel silenzio dei questi memoriali, nei cristalli di neve che bagnano il viso, "The soldier's graves are the greatest preachers of peace", urlano le date così ravvicinate, le schiere di 'unknown' e 'ein deutscher soldat' anonime, le voci sorde soffocate dalla follia. Follia... celebrata come un gioco nell'arena, una partita in cui si intervista il miglior giocatore, solo che si racconta di tiratori scelti e colpi di mortaio. Leggere la stampa dell'epoca mette i brividi, mettono i brividi i fogli coi proclami alle truppe, le pubblicità delle industrie impegnate nello sforzo bellico, tutto quello che oggi, pur nella nostra scorrettezza, definiremmo politicamente scorretto. Solo sessan'tanni fa. Oggetti di ogni genere, cimeli ammassati e questa sensazione davvero forte che tra le pieghe della storia rimanga impigliata la propaganda.
Non potrebbe rendere l'idea diversamente, la parola 'granducato', dinanzi a questi ponti protesi sul vuoto verso la rocca principale della città, l'unica che si possa definire davvero tale. E le mura, antica e scavate nella roccia, sotterranie rubati alla montagna, dove in passato si nascondevano risorse e ci riparava dai bombardamenti. Edifici eleganti e stuccati dalla storia, cui si aggiungono, nel profilo in lontananza architetture moderne, forme futuriste e forse qualche sovrapposizione di troppo. Mentre le strade tortuose si arrampicano tra città alta e città bassa, e qualche auto di lusso sfreccia sul bordo disegnato del panorama a strapiombo, sotto in quel parco che chissà era un fossato o solo campagna, fioriscono gli alberi, qualcuno lega lacci promettendo amore, ed il vento solleva nell'aria un nugulo di petali. E a sorpresa, il lunedì le stradine in pendenza si trasformano in un mercato di quelli che un po' ricordano il Natale, per gli oggetti, i sapori, la calca della gente che chissà da dove sia sbucata fuori. E ti volti, una volta attraversato uno di quei ponti sospesi, a scattare con gli occhi un'ultima immagine.
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