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Idda


 


"Diggià la Sicilia sorgeva come una nuvola in fondo all’orizzonte. Poi l’Etna si accese tutt’a un tratto d’oro e di rubini, e la costa bianchiccia si squarciò qua e là in seni e promontori oscuri."

(Giovanni Verga)




E' un paesaggio buio che scende verso il mare. Un'unica, crudele distesa nera che si modella sul terreno. Conche, crateri, piccole colline, una dopo l'altra. Non c'é vita, ma l'attrazione é magnetica. Come se ogni forma del terreno custodisse una storia, che per poter essere letta richiamasse passi lenti e faticosi sul proprio manto. Alcune volte, questa storia é incisa, su ciò che rimane di una colata di lava: una data, un anno, una distanza. Divora una costruzione, si appoggia ad una casa. Tutta la straordinaria potenza del vulcano é qui, ai miei piedi, in questo paesaggio lunare che non fa sconti e lentamente scende, in tutta la sua crudeltà a fondovalle. Chissà se tra le spire del vento ci sia il clangore dell'incudine del dio del fuoco, il martellare che accompagna le raffiche gelide di vento, trapassandomi e proseguendo lungo il mio sguardo, e disperdersi, gradualmente, fino ad incontrare la dolcezza del mare.



Il fianco del vulcano attraverso un calice. Intenso, il profumo. Profondo il colore. Ancora una volta, il sapore sale alla testa, nel calice é racchiusa l'essenza del vulcano, il suolo unico di fuoco, mare e sole che si fonde al calore ricco della polpa. Per arrivare, la strada ad un certo punto sembrava scomparire, terminare nel nulla, tra filari di viti piantate sul fianco del vulcano in questo paesaggio straordinario che guarda al mare, anche quando non si vede, ma si sente, nel sapore dell'aria, nel sapore del vino, negli occhi di chi accudisce questa terra e ne estrae i frutti più gustosi. Tramonta, ormai, e le foglie di vite sono un unico riflesso.



Acqua gelida che fa perdere i sensi. Avanzo, lentamente, in alcuni punti immerso fino alle ginocchia, tra due ali di pietra. Pilastri curiosi che precipitano nel torrente, lava raffreddata nel momento stesso in cui cadeva lungo pareti verticali, con la stessa forza dell'acqua, là dove é costretta ad accelerare perché le colonne di pietra si avvicinano tra loro. Acqua gelida e limpida. Scivola rapida facendomi sentire vivo.



Taormina é un'altra Sicilia. Bella, bellissima, certo, eppure un luogo lontano da molto di ciò che ho attraversato in questi giorni. Incastonata come un gioiello, incastrata tanto da essere quasi irraggiungibile, lungo una strada che si avvita su se stessa ed assume pendenze preoccupanti. E là come altrove mi trovo ad osservare il paesaggio seduto sui gradoni di un teatro, qui ancora più perfetto, immaginando eco lontane e lingue sconosciute. Solo che oltre il palcoscenico non ci sono soltanto riflessi sulle acque azzurre, né calde macchie di verde arso dal sole. No, c'é anche il profilo del vulcano, cupo e maestoso, col suo sbuffo continuo che si alza verso il cielo, una presenza impossibile da ignorare, che torreggia su questa terra a proteggerla e martoriarla allo stesso tempo. E' una vista potente e poetica allo stesso tempo, ancora una pagina di storia che si adagia sul territorio, anche se - per l'occasione - indossa il suo vestito più ricercato e costoso e, un po' come il vulcano, guarda tutti dall'alto in basso.



E' finita come era iniziata: col fuoco, la terra bruciata coperta di pietre nere arse come carbone. L'ultima salita si confonde tra le nubi, che a tradimento si alzano nel primo pomeriggio e nascondono la vista del cratere. Sembra di camminare in una terra di nessuno, un non-luogo in cui manca qualsiasi punto di riferimento. Mi volto indietro ed osservo questi giorni, lunghissimi e profondamente interminabili. Cerco chi c'é, e chi invece non c'é più, come se questa nebbia avesse divorato la strada. Forse, una volta attraversata, il mondo apparirà diverso.




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