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Immagine del redattoreoytis

Carretera Austral - Direzione sud, fino alla fine del Mondo


 

"La Patagonia chiamano i suoi figli la Madre Bianca. Dicono che Dio non l'amó per esser rigida e lontana, e la notte che è la sua aurora e il suo grido nella raffica per il grido del suo vento, per la sua erba inginocchiata e perché la popola un fiume di genti forestiere..."

(Gabriela Mistral)



10-11 Novembre 2018


Sospesa sulle sue piattaforme di legno, dopo tre ore di sobbalzi lungo ciò che resta della Carretera Austral, Caleta Tortel é al confine del mondo. La guidatrice del minivan mi indica, elencando nomi su nomi, i vari affuenti che si uniscono nel Rio Baker, i ponti sospesi sull'acqua, ed i laghi nascosti dietro le fronde impenetrabili degli alberi. La guidatrice é praticamente anche un postino che ad un certo chilometro della strada, e poi un altro, e un altro ancora, si ferma a consegnare un pacco, una torta di compleanno, un sacco di cibo a gente che sbuca sulla strada, in attesa del corriere, da una fattoria immersa nel nulla. I visi arsi di fatica e consunti dal tempo sorridono, scambiano qualche frase in spagnolo ed una stretta di mano ed una pacca sul minivan. La strada prende una biforcazione a pochi chilometri dal paese, laddove devia dalla Carretera Austral, penultima fermata rilevante direzione sud.



Caleta Tortel non ha strade, ma passerelle sospese su quell'acqua lattiginosa che origina dai ghiacciai. Caleta Tortel é una spiaggia protesa nel vuoto, verso l'ultimo fiordo da cui salpa il traghetto diretto a Puerto Natales, una sfida alla natura che ha mietuto le sue vittime, é la storia crudele dell'Isola dei Morti, con le sue croci lentamente divorate dalla vegetazione, il duro lavoro del legno che si esprime in tutta la sua creativa praticità, é il punto che divide Campo de Hielo Norte e Campo de Hielo Sur, é un cielo stellato sconosciuto che la notte svela la Cruz del Sur. Non ci avevo mai pensato, in questi giorni, che questa effettivamente fosse alla mia portata. Caleta Tortel é il mio punto di arrivo lungo la Carretera Austral.



Dopo due ore di navigazione i primi blocchi di ghiaccio preannunciano che il gigante é vicino. Del resto, l'aria sempre più fredda ne preannunciava la pressenza. L'acqua é uno specchio, tale da sembrare una lastra perfetta d'argento. Infinite gradazioni d'azzurro, blu intenso, elettrico, incandescente; spaccature che fluttuano silenziose come monumenti che, sempre più vicini, appaiono in tutta la sua maestosità. Ancora, riconosco il paesaggio ai lati, tra un'insenatura e l'altra, le ali di isole rocciose spazzate dal vento, l'ultimo tratto a strapiombo nell'acqua, i lastroni neri di pietra che espongono le rughe della terra. Anima patagonica. Non c'é altro che noi, una manciata di persone a bordo di una barca di pescatori riconvertita, ed una sospensione di silenzio che é troppo vasta per essere racchiusa in una parola. In fondo, anche questa é una premessa, ed un frammento di anima depositata su uno sperone roccioso. Il fronte, davanti, finalmente, é l'ultima propaggine del ghiacciaio, un azzurro di centinaia di anni, probabilmente migliaia, che infine é giunto al mare, in una discesa lenta ma inarrestabile, una forza inimmaginabile che ruggisce e frantuma se stessa, per arrivare a me, oggi, a sfiorare l'eternità.



I due navigatori hanno estratto un coltellaccio ed hanno iniziato a spaccare il blocco gigantesco di ghiaccio appena pescato. Ho pensato che avessero pensato di portarsene una buona parte a casa. Ed invece il capitano spalanca le portelle della rimessa sotto il bancone e non si limita ad un mezzo dito di whisky. Il viaggio di ritorno dal fronte del ghiacciaio é stato qualcosa di leggero ed ilare, coi miei nuovi amici improvvisati, cileni, praticamente tutti di Santiago, che con il loro calore e la capacità di sorridere hanno reso questa giornata speciale. Queste persone che non conoscevo e che hanno condiviso con me una ricetta di mare, il racconto dell'inizio di una storia d'amore, o magari quella di un viaggio, sono state una delle ragioni per cui ho deciso di tornare in Cile, una delle ragioni per cui ho desiderato vivere per qualche giorno una Patagonia diversa, che mi sembrasse più autentica, dall'altra parte delle Ande.



Il mio viaggio lungo la Carretera Austral termina qui, in un certo senso. Perché, dopo giornate di improvvisazione, combinazioni sbagliate di bus, alloggi improbabili e taverne che servono birra locale, é tempo di risalire. L'ultima stazione, in direzione sud, laddove la Carretera si esaurisce, rimane a malincuore un miraggio. Villa O'Higgins é a portata di mano, ma non raggiungibile. Il mio sguardo sulla Patagonia é questo, lungo un camminamento impantanato che si arrampica partendo dalle ultime scalette del villaggio, per diventare dupporti di legno ed appoggi incastrati nel terreno. Da qui, mentre idealmente saluto ogni angolo che riesco a raggiungere con gli occhi, ripenso all'isola di Chiloe, alla navigazione prima, e la strada poi, ed é come se in qualche modo un cerchio si chiudesse. Nel mio piccolo, nell'amore e nell'emozione per questo paesaggio, per questo angolo del pianeta che é sempre nei miei sogni, non é comunque cosa da poco. Da qui si domina il paesaggio, le acque dei fiordi circostanti, quelle del Rio Baker, l'indefinita sequenza frammentata di isole deserte. E forse, in lontananza, anche quell'ultimo tratto della Carretera e chissà, forse anche la frontiera scomparsa.



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