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Immagine del redattoreoytis

El Dia de la Tradiccion e la cultura gaucho


 



12 Novembre 2016


"Un uomo presiedeva il rituale. Riempiva delle zucche marroni di un liquido verde, che schiumava fino all'orlo. Tutti tenevano amorosamente le zucche fra le mani e sorbivano quella bevanda amara, parlando del mate come molti altri uomini parlerebbero di donne..."


Questa era una data che avevo segnato. Una di quelle attorno cui ho pensato questo viaggio. E' un giorno che mi accoglie sotto un sole cocente, disceso dal bus, un centinaio di chilometri e tre ore di viaggio, in un luogo deserto. Cammino nascondendomi sotto le ombre corte degli edifici, un po' trascurati, un po' eleganti, io che non ho il cappello, quello da gaucho, come si dice qui, in questa scenografia che sebra preludere ad uno di quei punti di svolta di un film western. E' questo silenzio ardente ad avvolgermi. Scendo, verso la piazza centrale. Scendo, verso il fume, oltrepassando la carne stesa sul fuoco, seguendo un rumore, lontano. Un nitrito, forse, o forse un colpo di frusta, o il suono gutturale di un uomo.



Ho oltrepassato un ponte e, credo, sono entrato in questo mondo. Dove alcuni elementi di Argentina mi vengono svelati, nella loro quotidiana semplicità. A partire dalle tavole, imbandite ed improvvisate, banchetti portatili e scorte titaniche di cibo, oppure dal mate, onnipresente, in quelle calabazas che passano di mano in mano e davvero, nel fumo aromatico, avvolgono un gesto normale e tradizione. Tradiccion é il dia che si celebra, a cavallo tra sabato e domenica, dove il mondo della Pampa semplicemente si mostra. E non dico rivive, perché questo é qualcosa che orgogliosamente persiste, nei bambini a cavallo che si muovono come su biciclette, nei gesti degli uomini e negli abiti complementari delle donne. Come una carovana giunta da un desserto. Anche se queste sono mandrie, cavalli scalcianti o gruppi di cavalli ansimanti, Ed il deserto é il mondo sconfinato dell'Argentina, e di un continente enorme che si apre a terreni vasti quanto disabitati, il cui unico limite é un recinto tracciato come una linea senza limite di continuità. Ma ancora, non lo so. Catturo queste immagini, di rumori e di colori, tanta polvere sollevata nell'aria, mentre la terra a tratti trema, o forse sono io che esagerando la immagino così. E la sera, sarà un fuoco enorme, spiedoni di carne, una musica sfrenata e l'immancabile mate. Sapore amaro ed intenso, come lo sguardo di un uomo accigliato alla luce traballanti delle fiamme. Prima che l'anima orgogliosa si liberi in un volteggio di danza, una gonna orlata oscillante per le strade, un cappello da gaucho sollevato, ritmicamente, per quelle strade deserte dove si affacciano edifici coloniali candidi e resi ruvidi dal tempo. Il giorno dopo, sarà così. Sotto un sole cocente.



"...Stavano tosando le pecore. Nel capannone c'erano venti scomparti e altrettanti tosatori: cileni magri e forti, a torso nudo, coi pantaloni che il grasso della lana aveva reso neri e lucidi. Un nastro trasportatore, azionato d auna macchina a vapore, percorreva in tutta la sua lunghezza il capannone. C'erano rumori di pistoni che sbuffavano, di cinghie che sbattevano, di macchinette per tosare, di pecore belanti. Una volta legate le gambe, le pecore perdevano ogni volta di combattere e giacevano come morte finché la tortura era finita. Poi, denudate e coperte di tagli rossi intorno alle mammelle, spiccavano un salto selvaggio, come per scavare un recinto immaginario, o per balzare verso la libertà."




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