“Perché solo quando la vita è vissuta con pienezza e coraggio conta qualche cosa, e perché il suo significato scaturisce dalle imprese che gli uomini riescono a compiere.”
21-23 Novembre 2016
Ho contato i passi, un ad uno, fino all’ultimo. Mi sono chiesto cosa significassero. Oggi, la strada sarà un po’ più lunga. E, in un certo senso, sarà qualcosa di diverso. Ho camminato da solo, ma accompagnato, perché popolare era il sentiero ed affascinante era la meta. Già, la meta: per ore ho immaginato con gli occhi cosa mi stesse muovendo, anche se lo so, non sarà la vista spettacolare ad appagarmi più di averla raggiunta. Ed allora, muovo un altro passo, viandante, in un mondo bellissimo, attraverso increspature e scorci spettacolari. Lo faccio asciugando la fronte, trattenendo il respiro. Il sole, le nubi, una pioggerellina sottile. Ho attraversato piccoli ponti, mi sono protetto sotto l’abbraccio confortevole della foresta. L’acqua, scorre, ora di nuovo più in basso: eppure ero lì, ci sono passato fino a sfiorarla, ora è solo un’eco che rimbalza salendomi fino alle tempie. Un ultimo sforzo, massi da scavalcare, salita che sembra senza una fine. Ma sì, questo sarà oggi. Passi, domande, pensieri e ricordi, campanelli che suonano come stuzzicati dal vento. Alla fine, questi passi significano questo, perché in fondo non c’è viaggio che non sia camminare, e a me camminare piace, sempre. Fino ad un tratto esposto sul fianco, una svolta, ed infine ho raggiunto il mio scopo, ho trovato il mio luogo. Laddove un paesaggio lunare si spalanca su un cratere, e colossali svettano le torri. Così vicine, così lontane, separate da uno specchio d’acqua smeraldo, pareti ripide come grattacieli, nuvole che non accennano a liberare i giganti. Seduto, respiro, ascolto, respiro. Ed in qualche modo, sto continuando a camminare. Sono arrivato.
Non so descrivere la bellezza di questi luoghi. Davvero, non ne sono capace. Sono tornato a Torres del Paine. Fermata dopo fermata, appena sceso dalla macchina, due erano le forze incontenibili che mi investivano: le folate di vento che sibilavano avvolgendomi, e la straripante bellezza del paesaggio che si apriva dinanzi a me. Ho amato l’intensità dei colori, la forza dell’acqua, le striature del cielo. Ho cercato di colmare con lo sguardo la distanza tra i miei occhi ed i picchi delle montagne, immaginato il rumore dei ghiacciai appoggiandomi a rami resi cinerei dal vento. Eppure, ancora non basta. Su queste immagini da cartolina, per un attimo soltanto ho impresso la mia ombra, solitario di fronte a qualcosa di immenso che esaltava la natura e si ampliava rimbombando dentro di me. Selvaggia, rude, o declinata in una dolcezza infinita, questa era la linea dell’orizzonte che si frapponeva tra me e l’infinito. Questo era un altro frammento della frontiera scomparsa.
“Tutto quello che quel volto esprimeva, sentimenti vigili per affrontare una tempesta, quella smorfia, quella volontà, quella collera, tutto quello che si scambiava d'essenziale un volto pallido e, laggiù, quei rapidi splendori, restava impenetrabile per lui.”
“…per molto tempo tu non avevi avuto per distrazione che la dolcezza dei tramonti…”
Mi sono seduto ad aspettare. Del resto, le lunghe giornate estive a queste latitudini si dilatano nel tempo senza che ne abbia controllo. Ogni sera, dopo tutto, mi ritrovo inevitabilmente qui, ad attendere. Come se dovesse levarsi un sipario. Meravigliosi cieli patagonici. Se questa variazione è una costante del mio viaggio, credo che difficilmente saprò trovare una musica più bella di questa. E come ogni nota, anche ogni foto è diversa e, pure se scattata per caso, di per se’ diventa un piccolo tesoro. Ho osservato il cielo assumere colori che non avevo mai visto. Un istante soltanto, e poi era un’altra melodia. Nuovamente. Ho negli occhi impresso il colore del sangue, un cielo rosso infuocato, e l’acqua dello stretto sulle sponde di Puerto Natales tingersi dello stesso colore, una potenza straordinaria che si sprigionava come un bagliore istantaneo. Per questo, ogni sera sono tornato, camminando, immerso in questo mondo straordinario che mi sollevava in una leggerezza infinita, come infinito ho desiderato rimanesse nei miei occhi.
"...Non c'è niente di paragonabile a un volo al tramonto sullo Stretto di Magellano. Il sole che si ritira verso il Pacifico incendia la pianura e riflette le sue fiamme sui ghiacciai. Tutto diventa una gigantesca brace e allora, come gli antichi navigatori che attraversavano lo stretto su fragili imbarcazioni di pelli di foca, uno sussurra con rispetto: 'Sì, è vero. Questa è la Terra del Fuoco'."
"Qualcosa passò davanti al sole, oscurandolo e si udì il suono del vento sferzato dalle penne remiganti. Due condor si erano tuffati su di me. Vidi il rosso dei loro occhi mentre si allontanavano fulminei, virando per la gola montana e mostrando il grigio dei loro dorsi. Planarono, percorrendo un arco, all’inizio della valle e si alzarono di nuovo, ruotando nella corrente ascensionale generata dal vento che soffiava contro i dirupi, finche' furono due macchioline nel cielo lattiginoso..."
Mi sono rimesso in navigazione. Credo che anche questa sarà una piccola avventura. Le increspature dell’acqua sono immagini impercettibili che appaiono e scompaiono. Destinazione, ghiacciai inaccessibili se non per via marina. E in lontananza osservo le torri, quei giganti per i quali soltanto ventiquattr’ore prima ho camminato tanto. Poi, lo sguardo si lascia trascinare in alto, cerando figure implacabili sullo sfondo del cielo. Attraversando rocche dai nomi sinistri e salti vertiginosi. Come vertiginoso è il volo, da qualunque angolazione lo si guardi, anche quando lo si fa da terra con un po’ d’invidia. E mentre la barca si inoltra nel fiordo, sento che sono sempre un po’ più solo, più lontano da ogni segno di civiltà, e sempre più vicino ad una cascata di bianco e d’azzurro che come fermata nel tempo rimane incastonata sul fianco di una montagna. Acque gelate, di un verde impenetrabile e lattiginoso. Ora sì, posso scendere, inoltrarmi in una foresta seguendo le orme di un suono ancestrale, ruggiti lontani ed improvvise nuvole bianche che si frammentano, più in alto. Mentre su una superficie piatta e silenziosa fluttuano blocchi di ghiaccio, variazioni di uno spazio metafisico che mi lasciano sospeso nel presente e rendono ogni cosa straordinariamente leggera.
Sono tornato, un’ultima volta. Come se avessi voluto salutare un paesaggio che mi ha accompagnato in questi ultimi quattro giorni. Sono partito alla volta dell’Argentina, in questo viaggio, ma la deviazione nelle estreme terre cilene mi ha fatto scoprire forse l’aspetto più incontaminato di queste latitudini. E, parallelamente, ha molto sollevato il mio spirito. Credo fosse questo luogo, più di tutti, che mi attendeva nella mia immaginazione, al sentir nominare ‘Patagonia’. Una scoperta. Se mai dovessi descrivere cosa fosse quella frontiera scomparsa, questa immagine nascosta tra le pagine di un libro, credo che sceglierei questo luogo, magari una di queste panchine, o forse un angolo lungo il muretto, o chissà, il molo laggiù un po’ in lontananza. Ad ogni modo, qualcosa da cui questa sera trovo difficile separarmi.
" 'E questo cielo? E tutte queste stelle? Sono un’altra bugia della Patagonia, Baldo?' 'Che importa? In questa terra mentiamo per essere felici. Ma nessuno di noi confonde la bugia con l’inganno.' "
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