27 Ottobre / 23 Novembre 2018
Questo post è un po' inizio ed un po' fine. Perchè attraverso Santiago sono passato più di una volta, quasi mai fermandomi veramente. E questa città, che si apre in quello che sembra uno spazio deserto appena superate le Ande, l'ho vista in maniera un po' insolita, una mattina di sabato, quando le strade colorate erano ancora dormienti e, più tardi, lungo i viali, quando la folla si dirigeva come un serpente flessuoso nel pieno di una manifestazione, ed infine ancora più tardi quando infine straripava di gente per le strade tra negozi e spettacoli notturni di luci sparse per le strade. Ho tastato quei colori, silenziosi del mattino, laddove i locali erano vuoti, anche se la musica di ogni tipo di danza latinoamericana già permeava l'aria, colma di note allegre e sinuose che rendevano tutta la sensazione di un'estate incipiente, creando un curioso contrasto in cui a beneficiarne erano proprio quei colori sparsi ad ogni angolo. Fermo, ho assaporato quell'atmosfera di una terra lontana, così come si presentava al primo impatto. Sono salito tramite una funicolare di vecchia data su una delle montagne della città, osservando più in là il profilo sfumato delle Ande. Nel pomeriggio caldo di fine settimana, tra sportivi, penitenti e famiglie coi bambini, le persone che a poco a poco aumentavano. Mi sono fermato alle porte di una casa strana, come strano è il soprannome che porta, creato da un poeta per la sua donna. E' forse uno dei rari testimoni, ricostruito e preservato, della resistenza ad un passato fosco e cruento che è stato, qui come in altri Paesi dell'America Latina, un passaggio lungo e doloroso verso ciò che è ora.
"...trovammo cinque o seicento ragazzi venuti da tutto il paese con il rischio di essere catturati dalla polizia scatenata dai gendarmi di Pinochet. Davanti alla casa di Pablo i ragazzi avevano di fronte centinaia di agenti dei servizi speciali che stavano fotografando e filmando tutti i presenti alla cerimonia. All'uscita del feretro, questi ragazzi alzarono il braccio sinistro con il pugno chiuso nel saluto comunista. Tutti sapevano che la sera stessa qualcuno avrebbe bussato alla loro porta, per prelevarli e spedirli all'isola di Dawson, nella Tierra del Fuego, un carcere infame da cui non era facile tornare. Ma nessuno di loro avrebbe rinunciato a dare l'ultimo saluto al loro più grande poeta. Poi qualcuno intonò l'Internazionale subito seguito da un coro potente che fece irrigidire gli agenti della polizia..."
(Stefano Malatesta - Neruda e il gigante)
Sono sceso dall'autobus, e subito mi sono trovato investito da un'ondata di colori e rumori. Come mai credo in questi giorni. E' stato un flash improvviso, dopo tanti deserti e tanti spazi sconfinati, che mi ha portato indietro nel tempo in chissà quali terre. I colori ed i rumori della strada, colma di gente, e del mercato che ne riempiva ogni marciapiede. Quadri di vita portena, come gli angoli in stato un po' precario degli edifici abbandonati al tempo, gli scorci di strade attraversate dai bus vecchiotti e rumorosi, e quelle note calde di musica danzante che han fatto riemergere quelle sensazioni provate il primo giorno, non troppo lontano da qui. Ho cercato la via verso il mare, come punto di riferimento, anche se quasi sempre ostruita da recinti, strade ed edifici. Ho raggiunto il porticciolo, infine, discorrendo di pietre preziose ed azzurre come il cielo, e per potermi infine voltare, Da lì, ad uno ad uno, iniziare ad arrampicarmi sui colli che circondano la città, a volte salendo su teleferiche di legno e binari sfrigolanti, altre volte molto più semplicemente tirando il fiato lungo strade dalla pendenza impossibile. E non troppo lontano, salivano pure note di tango e passi sensuali di danza. Una salita dopo l'altra, affiancato da fiori d'estate e mura colorate che spaziavano ogni genere di racconto, mi sono affacciato su questo panorama che si spalancava sul Pacifico. In lontananza, da qualche parte, un'altra di quelle case un po' strane del Poeta, condivideva la stessa vista che assaporavo in quel momento.
"Compagni, seppellitemi a Isla Negra Di fronte al mare che conosco, a ogni rugosa area di pietre e di onde che i miei occhi perduti mai più rivedranno..."
(Pablo Neruda)
So che sono giunto alla fine di questo racconto. Osservo del finestrino, gli ingressi alle vigne, lungo la strada, una ennesima carretera, che lungo una valle fervida porta da Santiago all'oceano. Oltre, le piante in piena esplosione d'estate, si attorcigliano lentamente al sole. Non ho ancora realizzato pienamente quanta strada, quanta meraviglia, quanto calore abbia incontrato, nei luoghi e nelle persone, ma sono contento di quello che è stato. E se da un lato la stanchezza mi fa guardare avanti, dall'altro ho la sensazione che stia uscendo da un sogno, ed il desiderio profondo di non dover partire. E mi rendo conto che i tre grandi capitoli questo viaggio, così come li avevo pensati e desiderati, una volta letti abbiano ogni volta lasciato una nostalgia alla partenza, e nei giorni immediatamente successivi. Una sensazione che si alleggeriva, man mano che iniziavo pagine nuove. Ora, giunto al termine, sebbene ancora non me ne sia reso conto, porterò queste sfumature irrimediabilmente con me.
10 voli (e nessuno perduto questa volta...) 3700 km, la distanza tra Santiago e l'Isola di Pasqua 5 la Carretera Panamericana, 7 la Carretera Austral 2200mm di pioggia all'anno, in Chiloe 30 ore di navigazione (e 15 di ritardo) in direzione sud 52nd, il km nella Valle Exploradores dove la strada è crollata 15 km di passerelle, in Caleta Tortel 8 milioni di metri quadri, la miniera a cielo aperto di Chuquicamata 50 volcani, attorno San Pedro de Atacama 30000 fenicotteri 10500 km quadrati, il Salar de Uyuni 4920 metri, altitudine massima raggiunta sull'Altiplano 7 colori, la bandiera arcobaleno degli Inca ...molte, molte, variazioni in più ad abbagliare i miei occhi
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