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Rapa Nui: fuori dal mondo, la storia del mondo


 



28 Ottobre - 1 Novembre 2018


Un passo, in salita, scrutando le nubi. C'è solo oceano, ovunque diriga lo sguardo, in questo angolo dimenticato del mondo. Sarà qualcosa di speciale. Sale, la via cerimoniale al sacro vulcano. E le scogliere si fanno via via più profonde, in quel vertiginoso abisso che prelude all'infinito, linea d'orizzonte unica e monotona che fende le nubi. Questo vedevano loro, o forse, chissà, rimarrà un mistero dietro le ombre dei giganti, consegnato all'eternità sulla pietra battuta dal mare, simboli di vita, di forza e natura. Un altro passo, fino a quando non sia il vento a fermarmi, violento, sibilante e selvaggio, sull'orlo del vulcano, cratere gigantesco che conduce al villaggio sacro all'ultimo estremo. Vento violento, sprazzi di luce e di nubi bluastre che si muovono rapidamente sopra di me, ed un'oasi di pace, protetta ed irraggiungibile, nella gola del sacro vulcano. Eco lontani di una gara cruenta, canti religiosi e di gloria, fuochi misteriosi che immagino stoicamente tremolanti di fronte alla crudezza del vento. Laddove si librava il mito dell'uomo uccello. Così è stato il primo incontro con l'Isola di Pasqua.



Così, alla fine, mi sono trovato davanti ai giganti. Distesi ancora inghiottiti nella roccia, abbattuti, inclinati lungo il pendio, sparsi fino al mare, allineati contro il riflesso argenteo delle acque. Finalmente ho accarezzato l'illusione di toccare il passato e dialogare col tempo. L'ho fatto specchiandomi nello sguardo fisso ed enigmatico di qualcosa che rimane incomprensibile, come la forza del vento, il moto del mare, o il ruggito di un vulcano, lasciando che nubi e sprazzi di sole scorressero sopra la mia testa, in una forza straripantee misteriosa che in silenzio emanava da queste figure impiantate nel terreno ed ancorate a qualche fondale misterioso della storia.



Le storia di Rapa Nui, l'Isola di Pasqua, è la storia del mondo. In questo microcosmo confinato dal mare, la storia dell'umanità si ripete come in qualunque altro angolo del mondo. Arrivarono dal mare, da terre tanto lontane da essere dimenticate, esplorarono l'isola ed infine la colonizzarono. Un triangolo di terra dalle pareti rocciose a picco sul mare, una manciata di chilometri per lato, con un'unica vera spiaggia. Crebbero e prosperarono: da un'unica discendenza nacquero villaggi e comunità, sui quali vegliavano le superbe figure dei Moai, gli spiriti antenati, e l'ombra dei sacri vulcani. E nella ricchezza della loro civiltà evoluta consumarono il legno, ed ogni altra risorsa, fino a competere per averle: gli antichi fratelli presero le armi e le puntarono uno contro l'altro, distruggendosi a vicenda, abbattendo gli spiriti protettori degli altri. Decimati, con la memoria perduta: così furono conosciuti dal mondo moderno, un giorno di Pasqua. Così divennero schiavi di un'unica grande fattoria, fino ai tempi recenti, in cui una nuova emancipazione li ha portati a ricercare quella loro storia perduta. E' un pensiero triste e tremendo, che in questo angolo di purgatorio e paradiso - a seconda della prospettiva - gli uomini, nonostante il loro ancestrale legame di sangue, non abbiano saputo far altro che distruggersi a vicenda, cancellare la memoria, ed inaridire la terra.



La ragazza sorride e mi riconosce. Sono ormai giorni che mi vede ogni volta chiedere la coppa di gelato più grande. Sapori dai nomi sconosciuti ed una reminescenza dal sapore esotico. L'Isola di Pasqua è anche questa, oggi, l'atmosfera di un villaggio - sperduto nel mare -, numerosi pick-up a solcare l'unica strada che corre attorno l'isola, e la gente che sicuramente si conosce tutta. Del resto dopo un paio di giorni, ho la stessa sensazione. La sera di halloween i bambini girano per strada accompagnati dai genitori, travestiti di eroi occidentali alla ricerca di dolcetti ad ogni negozio, lungo l'unica vera via del paese. Eppure l'anima di quest'isola è sospesa, tra Sud America e la sparpagliata Polinesia, cui, onestamente, sembra effettivamente appartenere, non solo per le sue origini storiche, non solo nei tratti del volto e nell'atmosfera della vita sull'isola, ma anche per la tradizione riscoperta e finalmente rivalorizzata dai suoi abitanti originari. La danza, il cibo, il rispetto per la terra attorno cui sorgono i Moai, finanche i segni religiosi in vita quanto nella morte, commistione di simboli tribali e retaggio cattolico, tutto rimanda all'universo polinesiano.



L'ho cercato per giorni, e per giorni, frustrato lo vedevo inghiottito da nuvoloni minacciosi che preannunciavano raffiche di pioggia. Arrampicandomi lungo la costa, a nord della città, incontravo nuovi amici di passaggio e mi sedevo ad attendere un tramonto che non arrivava mai, quando ormai sull'orologio era tarda sera. Sono salito, anche l'ultima sera. A trovare finalmente quel cielo infuocato cha si accendeva alle loro spalle. Immobili, silenziosi e lontani, nella loro dimensione sospesa tra terreno e altro mondo, osservano la terra illuminata da quell'ultimo sole, e lasciano che l'infinito lambisca alle loro spalle.



Ho mantenuto la promessa e sono risalito lungo la via sacra che porta al vulcano. Perché ho scoperto che aggirando il cratere il paesaggio e la veduta dello scorcio di mare erano tutt'altra cosa. Sono partito con la pioggia ed ho raggiunto la cima sotto il sole. Camminando lungo una circonferenza che sembrava non finire mai, ho ripercorso queste giornate, l'emozione di trovarmi di fronte ai Moai, le camminate lungo la costa a strapiombo sul mare, le grotte sotterranee e le suggestioni di un popolo che venne da molto lontano, un punto sperduto nell'oceano verso ovest. Ho riassaporato quella sensazione di essere in un angolo tanto sperduto che pure il mio tempo, il mio mondo, sembrano vivere una dimensione diversa. E allora, giunto all'altra estremità del cratere, difficilmente ho cercato di staccarmi da quella vista, dalla linea d'orizzonte, gli speroni rocciosi piantati nell'acqua. Perché era l'ultimo sguardo, un'ultima immagine da scattare con gli occhi.



Non ho fatto in tempo a salire sull'aereo che ho provato nostalgia. Nostalgia di qualcosa di impalpabile, una sensazione, quel tempo che scorreva in maniera diversa, questi giorni, indipendentemente che ci fosse sole o piogge torrenziali, e l'aver anche solo sfiorato una quotidianità così lontana e così genuina. Forse, è anche la consapevolezza che difficilmente tornerò su questo punto sperduto nella mappa. Ma anche, e soprattutto, ho nostalgia dei giorni all'ostello, delle persone incontrate, alcune altrove per caso, molte un po' curiose e con storie interessanti di se stessi e dei loro luoghi, piccole schegge che hanno condiviso con me. In pochi giorni, è stato come se non stessi viaggiando da solo, per quanto in realtà durante la giornata fosse effettivamente così, ed ogni tramonto cercato, ogni sera assaporata nella calma del buio, magari osservando la pioggia cadere e cercando comunque un respiro di vento, ogni tratto di costa dove mi sono fermato e seduto ad osservare l'infinito in una delle sue espressioni più intense erano in poco tempo diventati attimi di pace da gustare ogni giorno.



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