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Le inquietudini de La Paz


 

"...If you live in a country where there is nothing comparable to free information, often literature becomes the only way to be more or less informed about what's going on..."

(Mario Vargas Llosa)

Mi é bastato scendere in strada la mattina e seguire la guida che era venuta a prendermi per ripartire, per ritrovare come mai avessi voluto tornare in questo Paese, seppure da un'altra angolazione. Osservavo una miriade di colori, mentre arrancavo, per la prima volta, sulle strade saliscendi della città, cercando disperatamente di rimanere in scia ad un'altra persona. Quello che era un passo normale, leggermente accelerato, si rivelava quasi un'impresa titanica, indipendentemente da tutti i giorni precedenti passati in altura. E con l'occhio cercavo di cogliere, nel frattempo quelle prime sensazioni, quel caleidoscopio di umanità, voci e rumori, sensazioni, e pure brutture miserabili che semplicemente andavano in scena già di prima mattina. Ho amato immediatamente questo posto, sommando l'attrazione alla prudenze per ciò che e sconosciuto; l'ho amato per l'intensità dei suoi colori e della vita, che scorreva, letteralmente, senza barriere e senza filtri, travolgendomi.



Indietro nel tempo, seguendo una civiltà che suona di mistero. Molto prima degli Inca, molto prima di quelle civiltà definite pre-colombiane. Ritorno con la mente ai primi giorni, alla costa vicino Paracas, ai voli su Nazca. Affondo inditro nel tempo, alla ricerca di un nome che per me suona sconosciuto, dall'oceano fino su, alle altezze dell'Altiplano Boliviano. Vi fu un tempo, dicono i cartelli, in cui questi uomini unirono un impero, regnando per secoli. Non resta molto sotto il cielo terso ed azzurro. Volti incastonati nella pietra sembrano prigionieri del tempo, bloccati tra pezzi di roccia squadrati e mura possenti. Il deserto dell'Altiplano riflesso su quanto resta é sconfortante, perché anche la pietra, oltre la memoria, sta scomparendo.


Ho evitato il pranzo in uno di quei ristoranti preconfezionati e sono rimasto in strada. Ho camminato pochi passi sotto il sole concente di mezzogiorno, osservando il riflessi accecanti di una strada deserta in cui l'unica cosa che si muovesse era la polvere bianca del suolo. Poi vengo richiamato da una signora che sta all'entrata di una di quelle piccole botteghe che vendono un po' di tutto e che in teoria dovrebbero essere l'equivalente di quello che per noi era una volta la bottega del quartiere.

Prendo una bottiglia d'acqua e la signora, assieme alla sua vicina che gestisce un angolo ressoché identico, tira fuori una sedia di plastica sgangherata e mi invita a sedermi. Non parlano, non mi chiedono niente che non sia altro che sedermi, se mai lo volessi. Offro un pezzo di cioccolata ad un bambino che sbuca fuori con la madre. E poco lontano, suona una campanella che segna il fine della scuola, e dal cancello di un muro in terra escono fuori studenti di varie classi, il cui abito elegante in uniforme sembra stonare coi miei vistiti coperti di polvere e con la vista d'insieme della strada stessa che parte di quella polvere ha generato. Il mio pranzo di noci ed acqua é un pranzo silenzioso, eppure in qualche modo in questo attimo sento una forte vicinanza ed un calore profondo, che non saprei condividere.


Ancora più in alto, arrampicandomi a bordo di una teleferica: arrivato in cima, quello che sembrava un avamposto sul bordo di un precipizio si rivela una sterminata città in ogni direzione. Il traffico brulica, sotto i miei piedi, in fiumane di mezzi e viali interi di mercati in movimento. Ancora una volta, l'intensità dei colori e la forza vitale straordinaria che si sprigiona da queste scene di ordinaria quotidianità mi investono in una moltitudine di sensazioni.

Ci sono anche andato, lungo le strade della feria più grande di questa città nella città. Mentre l'altura aumentava ancora. Ogni passo, mosso con certezza. E praticamente si vendeva di tutto. Dai suppellettili più improbabili ai pezzi di ricambio per automobile, dagli oggetti eletronici ad ogni taglio di vestito, ognuno implicitamente organizzato per gruppi di strade.


Ho ricevuto opinioni contrastanti su El Paso, dagli abitanti stessi di La Paz, tra chi, come il proprietario dell'albergo, mi diceva di non andare e chi, come la ragazza che un pomeriggio mi guidava in una visita obbligatoria in un museo, diceva sorridente di venire da lì. Immagino non ci sia una verità unica: ciò che in maniera sfavillante si dispiegava ai miei occhi, che attraversassi a piedi alcune vie del mercato o che sorvolassi chilometri sempre seduto su una teleferica era una varietà incredidibile da contenere, un po' come gli sguardi che le coincidenze mi hanno fatto incrociare a bordo della cabina. Bambini e giovani madri, persone in giacca e cravatta di ritorno dal lavoro, cholitas in spostamento e magari pure qualche sguardo meno rassicurante. Nell'essenza stessa di El Paso, catapecchie e case da milioni di dollari, leggende (e non) metropolitane, l'aeroporto civile più alto al mondo, sterminati mercati ed una metropoli di per sé, in tutto questo si agglomeravano i mondi contrastanti della Bolivia, i suoi estremi, il suo fascino e le mie paure.


Le linee del teleferico sono contrassegnate per colore. Ed altro non potrebbe essere, in questa terra dove i colori fanno da padrone negli oggetti e nei vestiti, quasi un contrasto beffardo con le difficoltà della vita di strada. Le linee del teleferico attraversano la città come se la si potesse osservare da un palco privilegiato sopra un palcoscenico sconfinato, cui le Ande fanno da coreografia. In mezzo, in continuo movimento sono gli straordinari mercati che si riversano sulle strade prendendone di fatto possesso. Protetti dal sole da tendoni di iuta stirati, ogni angolo, ogni mercato é la propria specialità. Oppure negli stalli, ai lati di una strada tanto ripida da essere una scalata in piena regola, dove incensi, statue propiziatorie e feticci animali penzolano ai lati. Regine sovrane su questa distesa di cibi, fiori, vestiti, sono le cholitas, matrone consolatrici, confidenti, dispensatrici di merci e consigli raccolti osservando tutta l'umanità che é da sempre passata sotto i loro occhi, con dolori, gioie, vittorie, sconfitte e chissà quanto ancora. Sono loro il profilo imponente e caratteristico dell'Altiplano, per lo meno della città di La Paz, sono il loro sguardo arso dal sole ed il volto aggrinzito attorno a quegli occhi di nero carbone.


Ancora prima di arrivare sapevo che questo avrebbe potuto condizionarmi. In quel calderone ribollente che in questi giorni é l'America Latina, in Bolivia il seguito delle elezioni presidenziali non accennava a sopirsi. Anzi. Tra strade bloccate che praticamente impedivano ogni spostamento e manifestazioni per le strade, le tensioni secolari di un Paese diviso emergevano insieme a tutti i suoi problemi. Mi sono trovato ai lati di un corteo, ad un certo punto al centro di un altro, ed infine mi sono trovato inconsapevolmente vicino a reazioni che tra esplosioni e gas lacrimogeni potevano diventare drammatiche. Da spettatore, ho cercato di osservare con neutralità la storia di queste contestazioni, gli ideali e le evidenti contraddizioni. E forse non sempre quando la gente intona che 'el pueblo unido jamas serà vencido' la verità sia necessariamente da quella parte. Ho considerato questi giorni col rammarico di un impedimento, dei miei piani stravolti, ma al tempo stesso con l'eccitazione e la curiosità di trovarmi a vivere un piccolo momento di grande intensità, il centro del problema al cuore pulsante e ferito del Paese. La Bolivia, ma per molti versi avrebbe potuto essere un altro Paese dell'America Latina, come del resto questi stessi giorni stanno a testimoniare nei Paesi confinanti, in un'immagine molto mitigata della storia di questo continente che ancora oggi porta gli strascichi e paga il conto di quello che fu.



Notte di Halloween, notte dei morti. Qui, dove la religion cristiana si fonde con le tradizini culturali in una commistione che da vita a situazioni particolarmente sentite e tradizioni di intenso folclore, osservo frotte di giovani, famiglie intere e bambini travestiti scendere lungo la calle verso un qualche punto del centro città. Li osservo dal balcone di un ristorante nel quale mi sono forzato ad entrare malgrado quest'ultimo giorno mi senta tutt'altro che bene.

Penso con un sorriso ed un po' di malinconia che esattamente un anno fa, mi trovavo in un'isola dalle sculture misteriose sperduta nell oceano ad osservare altri bambini vestiti da altri mostri entrare nei negozi dell'unico centro dell'isola per ottenere ciascuno una manciata di dolci. In lontananza, sempre da qualche parte, continuano le esplosioni controllate, chi dice siano petardi, che dice siano piccole cariche di dinamite depotenziate, onestamente non lo so, il giorno precedente uno di questi é scoppiato a distanza abbastanza ravvicinata da stordirmi.

Le proteste nascono e si ingrossano senza preavviso come torrenti in piena di montagna. L'altro girono, camminando per le strade, ho attraversato posti di blocco improvvisati, dove cassonetti erano piazzati al centro di incroci stradali per poter tendere del nastro ad verso ogni angolo, dove le pietre erano divelte e gente normalissima presidiava come improvvisati regolatori del traffico che nessuno passasse. Del resto, ho visto nonne coi bambini, minatori, studenti universitari e normali cittadini schierare in direzioni diverse ma sempre comunque esibeno la bandiera rossa-giallo-verde della Bolivia. Nel sorriso e nell'augurio di estrema pazienza di chi era spettatore ho cercato invano un'interpretazione. Anche se la chiave di letture forse era prorpio questa, quella di un senso di inelluttabilità di fronte ai problemi del Paese ed alla rabbia allo stato grezzo della gente. I colpi esplosivi continuavano, proprio dalla stessa direzione della calle. E da lì, all'improvviso ho visto gente risalire, incespicando di fretta. E non ho fatto in tempo ad osservare che già l'aria era diventata irrespirabile, la gola ardente e gli occhi a malapena socchiusi. Sono rimasto sorpreso dall'efficacia dei gas sparati. ed ho pensato a tutta la gente festosa che scendeva la stessa strada fino a pochi minuti addietro, mi sono domandato con sconcerto se tutto questo fosse stato fatto contro di loro, se fosse il caso. Mi sono domandato dove tutte quelle persone, tutti i bambini vestiti per la notte di Halloween fossero finiti.


Questa immagine sarà forse un po' atipica per le latitudini, e per quanto mi riguarda mi ha portato indietro all'altro emisfero e ad una favola, Mary Poppins, che non ha molto a che fare con La Paz. O forse sì, chi lo sa, se la semplicità di un gesto ed una scena umile non abbiano poi alla fine un linguaggio comune. Questa immagine in qualche modo é rimasta impressa nella mia mente, delle giornate a La Paz. Perché in questa piazza davanti alla cattedrale ed al palazzo presidenziale, ci sono arrivato oltrepassando blocchi della polizia e fiumi di gente. E la calma dei pochi vecchi seduti all'ombra, la calma dei piccioni e la calma della signora seduta sui gradini era un contrasto troppo evidente con i suoni che arrivavano da lontano, i colpi di dinamite depotenziata e le proteste. Ed in qualche modo racocnta anche ciò che non é possibile racocntare, il fascino della citta e le sue centinaia di anime differenti, che si riflettono nei luoghi, dalla città India di El Paso e giù per le pendici della città "vecchia" finoa alla transizione sconcertante della parte più a valle, dove al termine di una lunga lenta discesa le eco europee iniziano a farsi sentire, ed il carattere della città inizia a connettersi maggiormente con quelle parti di radici europee. Perché alla fine, le eco dello scontro poche strade più in là riguardano anche questo, in un intreccio indissoluto che é parte stessa del Paese. Sono tornato con gli occhi alla signora seduta sui gradini: niente di tutto questo veramente traspariva da questo quadro, eppure, silenziosamente, ho provato lo stesso disagio.


In un Paese bloccato dalle proteste, non riesco ad andare oltre. A mettersi di mezzo ci ha pensato pure una compagnia aerea che ha cambiato i voli anticipandoli senza comunicarmelo. Sono basito. Dal resto del Paese, dai quei stessi luoghi che avrei voluto visitare, arrivano notizie ed esperienze di altri viaggiatori fosche. Semplicemente, una cattiva coincidenza. Ed in qualche modo, quella promessa che avevo fatto a me stesso di tornare in Bolivia, ed esplorare un Paese che mi aveva colpito con le sue bellezze naturali, gli sgargianti colori andini e lo sguardo di occhi neri e profondi del suo popolo, rimane una promessa incompiuta. Stremato dall'altitudine, dai contorcimenti di stomaco che un po' saranno tensione, un po' saranno chissà quale cibo, e bloccato in ogni direzione volessi intraprendere, ho deciso di abbandonare ed anticipare il mio viaggio di ritorno verso nord. Provo un po' di sconforto per il tempo perduto, ma soprattutto per i luoghi perduti: difficilmente potrò promettermi nuovamente un altro ritorno, una nuova rotta. Me lo domando. Ripassando per il lago dalle acque turchesi e le isole misteriose. Riattraversando la frontiera, a bordo di un motoscafo, mentre osservo il bus fluttuante su quella che più che un traghetto pare una tavola di legno.


Il mio ultimo sguardo sulla Bolivia, si ferma ancora una volta sulla sua gente, o almeno in quel piccolo spaccato che sono le persone che popolano questo luogo di frontiera, specialmente le donne che chinate sui loro panni contenenti ogni possibile mercanzia utile per il viaggiatore di passaggio, aggiungono un elemento di umanità che pur non sentendomi bene mi raggiunge al cuore. Il colpo d'occhio su patate di ogni tipo, erbe essicate, caramelle alla coca ed altre di marchi noti che saranno lì da chissà quanto, esprimono al tempo stesso una semplicità essenziale ed immediata. La frontiera, quella geografica é più in là, oltre decine di chilometri di strada.

Ma per me la vera frontiera é qui, questo passaggio obbligato su chiatte e motoscafi che sopperiscono alla mancanza di un ponte, in un luogo abbandonato da Dio, verrebe da dire, come deve essere una frontiera che si rispetti, dove tutto sembra precariamente lasciato a se stesso. L'ho attraversata. Direzione nord, quell'ultima agognata tappa: il mondo perduto degli Inca.



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