"...Ésta fue la morada, éste es el sitio: aquí los anchos granos del maíz ascendieron y bajaron de nuevo como granizo rojo.
Aquí la hebra dorada salió de la vicuña a vestir los amores, los túmulos, las madres, el rey, las oraciones, los guerreros..."
Chissà come le avrebbe definite Pessoa. Le isole fluttuanti. Per una assonanza, sono tornato a quei versi. E certo, anche se il taglio con cui si presentano é forzatamente turistico, queste isole e gli ultimi discendenti del popolo che le ha concepite e le ha abitate restano un incontro affascinante ed al tempo stesso fitto di domande, dove la semplicità dei gesti comuni, legati ad un modo di vivere di altri tempi, si fonde e compenetra con aspetti della modernità e della tecnologia più avanzata.
La terraferma, a meno di un'ora di navigazione, appare tremendamente lontana, ed allora non é ben chiaro quanto realmente attuale sia questo mondo galleggiante ed isolato nelle acque. In questo luogo, così come nell'isola più remota a cui ho avuto accesso, sembra custodito come un segreto questo mondo antico ed isolato, quasi uno scrigno magico che rende l'azzurro intenso di queste acque così vicine al cielo denso di significati ancestrali, un mondo abitato continuamente da popoli ed identità differenti, orgogliosamente distanti e definiti in se stessi, dai quali passa la tradizione più viva e profonda di questo angolo di America Latina.
Dall'alto, ho osservato l'orizzonte. Al termine di quella linea, davvero, c'é una frontiera. Reale, sulla mappa. Scomparsa, ai miei occhi, e a chiunque proverà ad osservare in maniera diversa. Nell'azzurro intenso e in un cielo specchiato di riflessi che al tempo stesso sembrano argento e tempesta ci sono nascosti un sogno, una prossima meta, un Paese di colori e paesaggi straordinari. Le montagne, la terra, tutto rimane nascosto. E forse per questo quella linea mi chiama, mi appare come un infinito assoluto, e continuamente la cerco con lo sguardo, come a volermi accertare che sia sempre lì, presente, mentre cammino sul sentiero spazzato dal vento che scivola sulla linea dorsale dell'isola. che, da entrambi i lati si apre su un lago che pare un mare ancestrale donato alle montagne.
“Le raccontai tutta la mia vita, non quella passata ma quella che avrei vissuto in futuro.”
(Mario Vargas Llosa)
Sì, c'ho pensato ancora. Del resto, ogni passaggio dell'America Latina é un legame profondo che nella mia mente ho stabilito da solo e potenzialmente una porta verso ricordi custoditi in qualche angolo oscuro. E non importa come o perché, semplicemente all'improvviso qualcosa emerge e rapidamente porta alla deriva. Pensavo che il passato può fare male. In qualche modo, é inevitabile. E ci sono volte che rapidamente mi perdo in pensieri e domande avvitate su se stesse, per le quali non ho una risposta. Semplicemente, ci penso, perché é nell'anima. Come ora, navigando acque turchesi ed esplorando angoli di tempo incontaminati. Ma possiamo decidere del presente. Questa bellezza é il presente. E cercare di accettare il passato per quello che é, qualcosa che é accaduto e per definizione rimane, qualcosa per cui non posso fare molto altro, ormai. Questa bellezza é il presente, il lago, i colori, il calore della gente, della lingua, il saluto di una pescatore dalla sua barca, l'aria rarefatta, una domanda a cui sorrido nel rispondere.
La frontiera é una linea invisibile dove si stende una terra di nessuno, un cordone da scavalcare per difigersi dall'altra parte, ottenere un timbro ed attendere che dalla strada polverosa in discesa sbuchi fuori il profilo di un bus. Silenziosa e deserta, sotto il cielo limpido ed esposta ai capricci del vento, é interrotta soltanto da qualche anziana signora che dal suo banco improvvisato per strada offre cambio valuta e piccoli snack. Da un lato, a pochi metri, c'é un campetto da calcio ed allora prima ancora di domandarmi come mai facciano a correre a queste altitudini sorrido al pensiero di cosa accade ogni volta che il pallone esce dal campo dalla parte sbagliata. Con gli occhi rivedo il deserto di Atacama, un avamposto nella sabbia e praticamente niente più: avevo promesso di tornare, ed eccomi qua, sulla rotta da nord, nuovamente in Bolivia.
Lo stesso lago, le stessa acque turchesi. Ed una lunga, lenta estenuante navigazione, verso l'Isla del Sol. Là dove la storia ed il mito dovrebbero essere più forti, e dove cedono invece spazio a schermaglie tra clan di oggi, un po' troppa attenzione ai turisti che sbarcano, e misere manciate di dollari. E' qualcosa che si perde tra le terrazze che anche su questi speroni di terra hanno radici antiche e nobili, archi spalancati sul nulla, tra statue enormi ed i sentieri dell'isola, quei pochi lasciati accessibili, dove immagini bloccate nel tempo sono annacquate da sfumature, una sensazione, silenziosa ma ingombrante, ed il sorriso generoso dei grandi così come dei bambini appare un po' troppo forzato.
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