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Ushuaia, ultimo approdo


 



16-18 Novembre 2016



Terra del Fuoco. Nome mitico, quello che risuonava dentro di me. Terra del Fuoco, ora realtà, sono giunto, laddove la terra scompare, e non resta che gelo, la fine del mondo. E’ un azzurro infinito, nascosto dalle montagne, riflesso sulle acque piatte del Canal Beagle, che separano Ushuaia, dall’ultimo avamposto cileno. A tratti, si alza un vento gelido, eppure nemmeno tanto considerando le latitudini, sebbene rimangano cumuli di neve, sparsi qua e là, a dispetto dell’estate che dovrebbe ormai essere. Ed anche se qui, più di ogni altro luogo, questo spirito è stato in un certo senso tradito, non posso che abbracciare un’emozione, un sentire che questi colori inenarrabili sono un luogo dell’anima e dei pastelli che porterò via con me.


"Tierra del Fuego, Terra del Fuoco. I fuochi erano quelli di un campo di indios fuegini. Secondo un'altra versione Magellano vide solo fumo e la chiamò Tierra del Humo. Terra del Fumo. Ma Carlo V disse che non poteva esserci fumo senza fuoco, e cambiò il nome. I fuegini oggi sono scomparsi e tutti i fuochi si sono spenti. Soltanto le fiamme degli impianti petroliferi innalzano una nuvola nera nel cielo notturno."



"...nel diciassettesimo secolo, l'esploratore John Narborough capitò nello stesso posto e li descrisse: 'Stavano dritti, tutti insieme in compagnia, come bambini con grembiulino bianco'."


Sono in navigazione, attraverso quelle acque gelate e cristalline, ghiaccio fuso incontaminato e quell’idea di un’esplorazione estrema che sarà, non oggi, ma con tutto il cuore un’altra volta. Sono in navigazione solcando il vento, gelido, che mi investe appena il catamarano si mette in moto, sfiorando colonie di cormorani, leoni marini e pinguini, parte di quella natura che già ho toccato nei giorni passati, ora in questa cornice di gelo, e l’ultimo faro a guidare le navi verso quel mondo di ghiaccio. Esploratori, avventurieri, storie disperate, tutti scrivevano qui un capitolo proprio, fosse il primo verso la gloria, o l’ultimo, verso l’oblio. E no, non ci saranno fuochi, lungo la riva, ormai estinti, anche se quell’eco lontana di una cultura scomparsa sembra affacciarsi silenziosa e dalle rive seguirmi con lo sguardo, come ombre invisibili. Ciò che resta sono avamposti, sorti chissà come, in mezzo a distese assolute, una conquista estrema dell’uomo, oltre ogni limite, in profonda solitudine ed un alone di racconto epico, spazzato da un vento che piega la natura degli alberi.



"Arrivandoci da terra, si poteva scambiare Harberton per una grande tenuta delle Highlands scozzesi, coi suoi recinti per le pecore, solidi cancelli e torrenti ricchi di trote color torba. La estancia del reverendo Thomas Bridges era situata lungo la costa occidentale della piccola baia di Harberton. riparata dalle tempeste da una bassa collina. I suoi amici Yaghan avevano scelto il posto, e lui lo aveva chiamato con nome del villaggio di sua moglie, nel Devonshire. La casa importata molto tempo prima dall'Inghilterra, era in lamiera ondulata, dipinta di bianco, con finestre verdi ed il tetto di un rosso sbiadito. Dentro conservava il mobilio di mogano massiccio, l'impianto idraulico e l'onesta apparenza di una canonica vittoriana..."


"...Da giovane Thomas Bridge aveva avuto la pazienza di passare ad ascoltare un indio chiamato George Okkoko, imparando a fondo, con lui, la lingua che Darwin scherniva. Con sua meraviglia scoprì una complessità di struttura ed un'abbondanza di vocaboli che nessuno avrebbe sospettato in un popolo 'primitivo'..."


"...Thomas Bridge coniò la parola 'Yaghana' dal nome di un posto chiamato Yagha: gli indios chiamavano se stessi 'Yamama'. Usato come verbo, yamama significa 'vivere come come respirare, essere felice, rimettersi da una malattia o essere sano'. Come sostantivo significa 'persone' in contrapposizione ad 'animali'. Una mano con suffisso yamama è una mano umana, una mano offerta in amicizia, in contrario di un artiglio-generatore-di-morte."



Questa era una prigione. Ushuaia è nata così, tra i peggiori criminali, i prigionieri politici e le loro guardie. Da lì, ogni giorno partivano, in un calvario di lavori forzati, stendendo rotaie che portavano in un luogo che non c’è. Forse sarà quella la ‘frontiera scomparsa’, quel luogo invisibile che sembra sempre un po’ più in là dell’orizzonte. O forse sarà solo un’iperbole, un’illusione, solo un altro indizio da collocare su una mappa. Mi piace tornare, verso sera, lungo la riva. Ad osservare ancora questi cieli patagonici ed un relitto immobile salvato soltanto per essere lasciato alla deriva di fronte al porto. Ed è un attendere lungo, oltre il fuoco accarezzato su tavole imbandite ed una coppa di gelato a sfidare le temperature della sera, prima che sia finalmente notte.



"Nella vita non ci sono soluzioni. Ci sono delle forze in cammino: bisogna crearle, e le soluzioni vengono dopo."


Sto camminando da ore. Una giornata intera, ormai. Ho attraversato sentieri nella foresta, pantani, e l’ultimo avamposto postale. Dalla foresta, a tratti distrutta dall’azione micidiale dei castori, sono sceso nuovamente, verso l’acqua. Mare, canale, lago, non so definirlo, questo specchio plumbeo che varia colore a seconda delle rocce e del paesaggio. Cambia la luce, del resto, tra pioggia, sole e nuvole basse ad avvolgermi in una foschia impalpabile, se non fosse per delicate gocce di condensa che pendono dalle piante. Anche il ramoscello fiorito più minuscolo, all’obbiettivo, appare come un microcosmo sconosciuto. Ho camminato in silenzio, saltuariamente interrotto dal passaggio di qualche altro viaggiatore, e passo dopo passo ho assaporato i versi di questa natura. Terra del Fuoco. E sì, ogni passo diventa a poco a poco più strenuo e lentamente mi lascio sopraffare dalla stanchezza. Non so descrivere il mio stato d’animo, forse mobile come la luce del giorno, forse semplicemente svuotato da ogni pensiero che non sia il mio camminare. Lontano da tutto, lontano da tante cose, brevi lampi si fanno strada tra i pensieri, li illuminano e si spengono. Perché, alla fine, continuo a camminare, e ad esplorare con gli occhi e con le gambe ogni angolo che riesco a raggiungere di questo mondo lontano, tanto da non sembrare il mio.



Ho lasciato che l’acqua calmasse il mio cuore. Un altro passaggio, ed una radura. E la strada, la strada semplicemente scompare. Ruta numero 3, 3063 chilometri da Buenos Aires, come inciso su due assi di legno. Qui termina, questa è la mia fin del mundo, un abbozzo di isolotti spogli e macchie di laghi che si perdono, via nell’orizzonte, dove regnano le montagne. Ed è come se tutta la stanchezza accumulata si sciogliesse, in un pianto, in un riso, un sospiro. E’ come se infine fossi giunto a questo appuntamento, al termine di una strada percorsa idealmente, realmente, con ogni senso. Arrivato.



"...La Terra del Fuoco è quindi la terra di Satana, dove le fiamme tremolano come lucciole in una notte d'estate, e nei gironi sempre più stretti dell'Inferno il ghiaccio imprigiona le anime dei traditori come cannucce di paglia in un bicchiere di acqua gelata..."



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