Mi ritrovo a scrivere dallo stesso punto in cui avevo lasciato. Come se avessi posato la penna e lasciato aperte le pagine. Forse é così, anche se in un certo senso é come se avessi avvolto un quaderno e lo avessi portato con me dentro uno zaino caricato sulle spalle. A volte, l'ampiezza di certi momenti risalta maggiormente guardandoli da fuori, che sia indietro o in avanti ne cambia invece la prospettiva, come prima o dopo una corsa. Così, voltandomi ora e scintillando il mio sguardo nelle foto che ho raccolto e che finalmente posso guardare appieno, alcuni tratti di strada assumono quella sfumatura epica che mi ha fatto desiderare questo viaggio. Ma allo stesso tempo riprendo da quell'ultima linea scritta, dove all'aspettativa si sovrapponeva un po' di paura, più del solito e meno giustificata di altre volte. Non so esattamente cosa sia successo. E non so se questo abbia in qualche modo influito su quanto sia successo appena posata la penna. Perché perdere un volo non fa mai venire buoni pensieri, ma perderne uno di durata straordinariamente lunga aggiunge un danno concreto non indifferente. Ho pensato di lasciar perdere, in un giorno questo anzi é diventato dubbio, ad un certo punto quasi speranza, e poi razionalmente una perdita che andava oltre l'aspetto economico. Ed ancora folate di panico. Poi, mentre i numeri su internet cambiavano ad ogni click, alla fine sono partito.
"...come posto più sicuro della Terra venne scelta la Patagonia. Immaginavo una bassa casa di legno, col tetto di assicelle, incatramata per resistere agli uragani, con dentro ciocchi fiammeggianti e, allineati sulle pareti, i migliori libri: un posto dove vivere mentre il resto del mondo saltava per aria. Poi Stalin morì e noi cantammo nella cappella inni di gloria a Dio, ma io continua a tenere in riserva la Patagonia..."
(B. Chatwin)
Non so esattamente quando questo nome abbia iniziato ad occupare la mia mente. Ma, come all'inizio di un libro da scrivere, mi sono ritrovato in queste parole. All'inizio, era semplicemente un posto lontano, irraggiungibile ed impossibile. Poi, a poco a poco, é diventata una frontiera, un profilo sulla mappa, lo sfondo protagonista di pagine e persone, un ultimo ponte, un luogo non-luogo che traduceva in una qualche realtà quel posto lontano che avevo nella mente. Avevo con me storie di pionieri, avitori, figure misteriose, rifugiati politici ed uomini in fuga dal mondo e da se stessi, banditi leggendari, e taccuini di viaggio. Così, una volta arrivato, non sempre é stato così. Quel senso di frontiera, di luogo estremo, come il profumo delle pagine di un libro, qualche volta, svaniva sbiadito, dietro una macchina del turismo in qualche modo standardizzato ed inarrestabile, in piena azione, dove la "fine del mondo" diventava il nuovo brand da esibire. Questa sensazione, in alcuni posti, ha lasciato quella punta di amaro di fronte a qualcosa di non autentico, come perduto. E quella frontiera si spostava un po' più in là.
E silenziosamente, con me, avevo anche un luogo che era continente e mondo nell'anima, una ferita sotto pelle che ogni tanto reclamava la sua presenza al nominare un luogo, ad incontrare persone provenienti da quel Paese, semplicemente pensando che per la prima volta ero qui, in Sud America, in quel mondo che volevo leggere in un paio di occhi. Domande inutili perché senza risposta e senza forse nemmeno fondamento, anche se per quanto non abbia senso razionale, ogni tanto il pensiero si ferma lì. Ho pensato alla danza perché, per una inspiegabile serie di concatenazioni, si lega ad una pagina che ho lasciato scritto qui, moltissimo tempo fa, ad una pagina scritta altrova, qualche giorno dopo, ed a questo pensiero. In realtà, ho sfogliato ripetutamente le foto che ho raccolto cercando quelle che più mi ispirassero per questo post, che da sole racchiudessero tutta l'essenza di un viaggio, ed ho avuto qualche difficoltà, perché ognuna ho pensato di lasciarla per un altra interruzione, sotto un altro paragrafo. Ed allora, sono tornato alla foto di una danza, catturata nella semi-oscurità di un padiglione, e ad un'immagine sfumata che ho nella mente.
E' riguardando le immagini che compio un altro viaggio. Ho gli occhi diversi, forse semplicemente capaci di osservare un periodo di tempo più lungo, un insieme continuo. E tutto appare un po' più grande. E' bastato uscire dall'aeroporto, alla prima cittadina in Patagonia per capire cosa quell'epica del luogo fosse intrisa nella desolante mancanza di qualsiasi variazione di ciò che avevo davanti. E lentamente germogliava la leggenda di un nome, o un numero, una distanza, una strada. Sempre più vicino, sempre interminabilmente lontano. Ho lasciato che il nulla risplendesse. Ho attraversato luoghi spettacolari, di una bellezza disarmante, dove la natura splendeva in tutta la propria fragilità. Splendeva nei rumori, fosse esso vento, folate di fuoco strappate ad un braciere, o ghiaccio in distruzione. Ed ogni volta lasciavo cadere la meraviglia per aver pensato di aver visto il luogo più bello. Sono rimasto sotto un cielo ineguagliabile, quei "cieli indimenticabili di Patagonia" che ho letto scritto una volta da qualche parte, un cielo che mutava ad ogni istante, e non importava quante foto, scattate quasi a caso, potessi cercare, sullo schermo apparivano qualcosa di unico. E non saprò dire perché, ma a volte, di fronte a tanta bellezza, in modo improvviso quanto senza spiegazione, sono stato preso da un senso di profonda tristezza. Come un pugno pesante a stringermi il petto. Ed allo stesso modo come era arrivata, questa sensazione svaniva. Alla fine di una strada tutta in salita, dal vetro di un bus, o da un punto privilegiato sul mondo. Nel silenzio, ho pianto.
2 voli persi (1 internazionale) 3 voli interni 7000 km (stimati) via terra 3 y 40, las Rutas 300000 pinguini 250 grammi di gelato, ogni sera in Ushuaia (e non solo Ushuaia...) 5 Paesi (2 persi) e 10 timbri sul passaporto 45 min di panico, in coda per uscire dal Cile, quando mi sono accorto di non avere lo scontrino ricevuto all'entrata 6 giorni prima 2 mesi, ho promesso a me stesso di non lamentarmi dei venti olandesi, a bordo del "Patagonia" mentre attraversavo l'Estrecho de Magallanes 1 bus broken on the way 7 treks - 21 km il più lungo, 18 km il più sfaticante, 11 km il più spettacolare, 3 km il più cool (letteralmente...) 8 euros, la ruberia imposta dalle banche ad ogni prelive, su un massimo consentito di 120 euro (questo non é scritto su nessuna guida!) 150 milioni, gli anni in qui gli alberi si sono tramutati in pietra 11000 anni, la più antica mano impressa su roccia 2 bicchieri di whisky, con ghiaccio purissimo 4 libri letti una fortuna sfacciata col tempo innumerevoli variazioni di blu
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