"...Soffia sul fuoco perchè non si spenga, attizzalo perchè brillino le braci e poi alimentalo con legna secca perchè i tizzoni e il calore della nostra cultura restino vivi..."
18-21 Novembre2018
"Bienvenidos en Bolivia". Volto scuro, indiano, segnato dal vento e dal sole, occhi scuri, ancora di più, e capelli neri come la notte. Bienvenidos, investiti dal vento gelido dell'Altipiano, che spazza con le sue raffiche la terra di nessuno che é sul confine, dove una casetta di due metri per tre é l'unico segnale di discontinuità in un paesaggio di deserto, rocce e vulcani. Non lo so ancora, nei miei pensieri per l'altitudine sempre più rarefatta, per il sonno di prima mattina sferzato da questo vento, per le storie belle e brutte, ma questo sarà l'accesso ad alcuni dei posti più belli ed incredibili che abbia mai visto, ultime maestose pagine di questo capitolo, di questo viaggio ormai avviato alla fine, tanto da colmare gli occhi oltre tutto quanto é stato finora queste settimane.
E' difficile quantificare i chilometri, la strada che non esiste, realmente, a volte scompare, anche quella minima traccia che ne rimaneva. So solo che paesaggi sconosciuti si alternano, dall'altro lato di un finestrino dai vetri scuri che proteggano gli occhi. Si alternano i colori, e forse ormai ho perso l'orientamento con le montagne, i vulcani estinti, le lagune che appaiono all'improvviso. In questo luogo che sembra celestiale ed infernale allo stesso tempo. Un uomo si accende un sigaro, seduto col compare su un tozzo di roccia. Proseguiamo in questo deserto. Colori, ancora, ciò che sembrava un miraggio lontano é adesso a portata di mano. Illusione, forse; o forse é un altro luogo, ed io ho perso contatto, affascinato da una natura sbalorditiva, da qualcosa che non avevo mai visto. Semplicemente, bellezza. E vita, che in ogni modo trova la via per affermarsi. Mentre l'altitudine sale, sull'altipano, a quote che non conosco, e l'aria verrebbe da cercare di catturare, lo sguardo sempre ammaliato, fino al prossimo luogo, un villaggio sperduto che la sera piomba nel buio.
Non dimenticherò le tempeste del deserto. Non dimenticherò il vento che sale, nel tardo pomeriggio, e spazza, letteralmente, la terra. Cammino inclinato su un lato, quello completamente coperto di bianco, dalla testa ai piedi. Tanta potenza da non sentire la voce più vicina, a due passi da me. Ma forse non potrebbe essere altro che silenzio, di voci, di altre presenzze, un luogo come questo, forse quello che più imprimerò nel mio petto, su un crinale spazzato dal vento che penetra a volo d'uccello in una marea di colori, ed il movimento continuo di migliaia di fenicotteri, puntini lontani, sagome vicine, immobili contro il vento pronte a staccarsi in volo su un'acqua che sembra sangue, tanto é intenso il rosso che la impermea. Cammino, scendendo il crinale, verso una riva di cristali bianchi e verdognoli, verso una miriade di fenicotteri impegnati nelle torsioni più strane, alla ricerca di cibo, sguazzanti in quell'acqua bassa e vermiglia. Ora, col vento che ulula dall'altro lato, sbandando sulle raffiche più veementi, quasi correndo, anche se in realtà é un'illusione, ed ogni passo a cinquemila metri é come uno scatto tanto lascia col fiato corto. O forse é l'illusione che correndo potrò inseguire il tempo, e strappare qualche momento in più in questo luogo infinito.
Questi saranno gli ultimi. Così ci ha avvertito il conducente, mentre scendeva verso un villaggio colorato incastonato davanti ad uno specchio di cielo riflesso ed una catena di vulcani estinti che in altezza laternavano striature di colori. a quest'altezza, in quest'immagina baciata da uno squarcio di sole, si riassumono tutti i colori della bandiera Inca, così come quelli dei tessuti boliviani, un arcipelago variopinto di immagini stilizzate tratte dal deserto, e tinte vivaci che trasudano gioia. Gli ultimi sono i fenicotteri che vedremo. Abbiamo attraversato bolle di fango, quadri di deserti metafisici, lagune brillanti ed alberi di pietra. Una strada infinita, che nemmeno esiste, che rende epico il passaggio. E frammenti di cielo, ancora, depositati su cristalli di pietre e minerali preziosi, almeno per gli occhi, i miei, perché mi lascino sospeso in questi mondi tanto lontani di un altro pianeta. Mi domando se non siamo noi, in realtà, gli extraterrestri.
"...E solo se mezzo addormentati, udiamo senza sapere che udiamo, essa ci parla della speranza verso la quale, come un bambino che dorme, dormendo sorridiamo..."
E' un faro che si accende nella notte. Sfreccia, in un deserto che ancora non si vede. Affinché la luce salga in quel luogo magico, che sia niente e nessuno, un unico abbagliante riflesso, candido come un cristallo, infiniti cristalli, a poco a poco toccati dal sole, in questo universo silenzioso ed incredibile, una macchia adamantina sulla superficie del pianeta, ed io un punto perduto nel centro, ad attendere un raggio di sole, a sfiorare il mio volto incredulo, la mia anima che già ha accolto questo luogo, forse ancora un sogno che si perde nella mente, un pensiero che vaga ammutolito, commosso e perduto. Nell'intensità del bianco, nella limpidezza di un cielo che preannuncia una nuova giornata fatta di colori puri ed infinite traiettorie che non conoscono confini.
"...È la voce di qualcuno che ci parla, ma che se ascoltiamo tace, proprio per esserci messi ad ascoltare..."
Chissà se siano queste, le Isole Fortunate. Chissà se siano queste piante gigante e silenziose, cinte da un mare di sale, centenarie sentinelle del deserto, silenziose e fiere, a raccogliere i racconti dell'Inca. Da quassù, da una di queste, superstite di un lago scomparso, in un giorno che é ancora soltanto l'inizio, lascio giungere quell'alito di vento, fresco, sussurro del deserto, voce che sembra arrivare non so da dove, da un orizzonte che si perde, abbagliante, in un mare immobile, acqua inghiottita sotto una crosta spessa che disegna figure geometriche in una sequenza interminabile. Ho lo stesso sguardo, forse, rivolto altrove, come quelle sentinelle silenziose. Magari a cercare un punto di riferimento, un frammento finito cui aggrapparmi per riuscire a comprendere, contenere, da poter portare con me. Impossibile.
La strada del sale inizia e termina qui, al capolinea di un binario corroso nel deserto, dove i treni raggiungono la loro ultima destinazione e si spengono per sempre. Arsi dal sole, erosi dal vento secco saturo di salsedine, questi vecchi locomotori lentamente si trasformano in scheletri arrugginiti allineati uno dietro l'altro. Nessuno saprebbe dire da quanto si trovino qui. Se la via del sale sia ancora aperta, in realtà, e le carovane siano ormai scomparse ed abbiano lasciato posto ad altre di avventurieri sulla linea di una competizione da corsa o di sparuti gruppi di turisti sballottati su 4x4, o se questo sia l'ultimo avamposto di un altro luogo abbandonato e dimenticato a se stesso, ultima fermata di due linee parallele che vagano all'infinito in un mare divorato dai cristalli e dal silenzio.
Credo che saprò dove andare. Un'altra volta. Lo desidererò. I colori dell'Altipiano mi hanno sorpreso. E sovrastato. L'Altipiano mi ha sorpreso, negli occhi scuri e profondamente impenetrabili di queste persone, che sono segnati dal sole, dal vento, da questo deserto. Quel respiro, corto e profondo non era soltanto l'altitudine. Ho raccolto questa immagine all'ultima fermata, in un villaggio di minatori e poche anime sedute sul ciglio della strada. E ne sono rimasto affascinato, per qualche motivo. Là dove la polvere rasentava il terreno e scendeva dalle montagne. Di poco o niente, almeno in apparenza. Non lo so. America Latina, camino del Inca, una storia nel cuore. Non so dove mi trovo. Ma l'orizzonte é ancora lontano.
“Il sole tramonta a ovest, si inabissa nel Pacifico, e i suoi ultimi riflessi proiettano sulla candida pampa l’ombra del Patagonia Express che si allontana in senso contrario, verso l’Atlantico, là dove iniziano i giorni.”
(Luis Sepulveda)
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